Tentazione di Cristo – Vasily Surikov

Come da antica prassi, la chiesa ambrosiana si unisce, con qualche giorno di ritardo[1], ai riti penitenziali di quaresima del resto del mondo cattolico, i cui pionieri si ritrovano ad essere i caldei, che hanno iniziato la Quaresima ancora prima, di lunedì.
Al di là del momento iniziale, il tempo forte della Quaresima è senz’altro, indiscutibilmente, di sapore penitenziale, di ritorno dell’uomo verso un Dio “pietoso e pronto al perdono[2]

L’arte del ritorno

Tramite il profeta Gioele, Dio propone – anzi: intima – di ritornare a lui. Già questo è interessante: il ritorno dell’uomo a Dio non parte dall’uomo, ma risulta essere una richiesta, che racchiude un desiderio di Dio. Mettendo sulla bilancia oneri e onori, viene da pensare che Dio non abbia – tutto sommato – alcun interesse al ritorno dell’uomo, mentre – a logica – viene da pensare che sia vero l’opposto: è l’uomo ad avere bisogno di Dio, non viceversa! Eppure, il fascino incredibile del cristianesimo, maggiormente evidenziato dalle letture delle prossime settimane[3] è proprio questo: un Dio che si fa mendicante del cuore dell’uomo, proprio quando questi non ha il coraggio, la forza o l’umiltà di riconoscere che il suo cuore a questo, da sempre, anela. È, quindi, storia antica, ma sempre nuova, quella del ritorno: è il popolo d’Israele, con le proprie infedeltà, è ciascuno di noi che, di fronte alle proprie fragilità si domanda se davvero sia utile la confessione.

“Laceratevi il cuore e non le vesti”

Come nello stile profetico, puntuale arriva la raccomandazione ad una sincera autenticità, che sappia oltrepassare  la formalità dei riti (pure utili a visualizzare, a donare simboli, a rendere concreta una fede che altrimenti rischia di non risuonare più, come se fosse vuota). Al contempo, però, i riti da soli, sono poveri del vero desiderio di Dio, che è il cuore dell’uomo – sineddoche per indicarne l’interezza, nelle sue parti più fondamentali (sentimenti, affetti, intelletto, volontà).

Lo stadio della fede

“Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio?” (1Cor 9, 24) ci ricorda l’Apostolo, nella sua lettera. A questa immagine sportiva ne seguono molte altre, legate al pugilato o alla lotta libera. Un escamotage per evidenziare come, se nello sport servono costanza e perseveranza, oltre a muscoli, ancora di più, a maggior ragione, saranno richieste le prime due caratteristiche, nella vita di fede.

Il primo tentativo di Satana – fallito

Anche nel Vangelo, troviamo Cristo in un agone che ricorda le grandi arene sportive. Una disfida all’ultima citazione biblica, che quasi ricordano le dispute medievali. Figlio del Padre, Gesù dimostra di sapere ben usufruire della parola: poche, centellinate, ma tornite: cesellate e delineate con precisione e acribìa. Il pane, lo spettacolo, il potere. In realtà, la tentazione è una sola: alla proposta di essere il Messia secondo i canoni del mondo, Cristo decide di adempiere la missione di Messia, rimanendo Figlio, nell’amore del Padre, che manifesta l’unità trinitaria.  

Il digiuno di un Dio che desidera

No, non il digiuno che Dio desidera (dall’uomo). A colpirmi è un Dio, capace di desiderio, che scelga il digiuno. Da sempre (vale a dire: dacché se ne abbia notizia), in moltissime culture ed esperienze religiose (mi limito a ricordare l’esperienza buddhista, in particolare quella monastica), è tenuto in grande considerazione il digiuno, quale mezzo di ascesi e purificazione dai desideri mondani. Rivoluzionario è un Dio che digiuna. Per di più un Dio he, fattosi uomo, si è reso fragile, mortale, sensibile al desiderio, tangibile dalla gentilezza oppure dalla perfidia. Un Dio che “sente” e, sentendo, decide di sentire i morsi della fame dovuto al lungo digiuno, così come il senso di pericolo e la solitudine cui il deserto espone.

Nel deserto, pronti alla fioritura

«Perciò, ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore» (Os 2,16)

In una spiritualità che è sponsale dai tempi dell’Antico Testamento, andare nel deserto non equivale ad andare verso il nulla cosmico. Al contrario, si rivela condizione fondamentale per creare quello spazio che richiede un nuovo affacciarsi al rapporto con l’altro, tramite il recupero dell’origine che ha dato l’avvio alla relazione, che è anche in grado di dare nuova linfa alle relazioni smorte. Perché questo è il senso del deserto. Non isolarsi, ma eliminare il superfluo affinché trovi il giusto spazio l’essenziale che dà forma al tutto.  


Rif. Letture festive ambrosiane, nella I Domenica di Quaresima, anno C: Gl 2, 12b-18; 1Cor 9,24-27; Mt 4,1-11
Fonte immagine: WikiArt


[1] Il motivo del “ritardo” ambrosiano è legato proprio a padre Ambrogio: per non iniziare la Quaresima senza l’amato vescovo, temporaneamente fuori città, i cittadini meneghini decisero di prolungare le festività del carnevale fino al suo ritorno.
[2] Vd. Liturgia domenicale ambrosiana
[3] Su tutte, il Vangelo che narra l’incontro con la Samaritana al pozzo (Gv 4, 1-42)

3 risposte

  1. «Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16) mi ricorda tanto «Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto» (Mc 1,12).

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