(Sono stato con Giuda. Anzi no: con Barabba. Scusate: sono stato col ladrone del Vangelo, quello buono. Insomma: da qualsiasi parte lo guardiate, quell’uomo – che oggi abita dietro le sbarre – è stato il mio compagno di viaggio in questo Triduo Pasquale. Questi “avanzi di galera” sono la segnaletica che Dio sta usando per mostrarmi la grazia nel mentre s’adopera. E che per chi la contempla da fuori non è sempre comprensibile).
Condivido con voi due lettere di augurio tra le numerose che i “miei parrocchiani” mi hanno fatto trovare in questi giorni di Pasqua. Le lascio alla vostra intelligenza per poter dare voce all’atra faccia del carcere, quella che racconta di un mondo di colori nascosti.

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Carissimo amico e fratello Marco, non potrò mai esserti grato abbastanza per tutte le tue attenzioni e la tua pazienza. Riesci sempre a trovare un po’ di tempo e una parola di sincera speranza in questa gran tempesta d’impotenza e di solitudine. Ma la sensibilità che mi commuove è quella che dimostri costantemente con le nostre famiglie: con la mia famiglia, i miei figli, la mia mamma!
Oggi in questo giorno in cui la fragilità dell’uomo viene definitivamente annientata e al di là di ogni più “imprevedibile previsione” trionfa, devo chiederti un piacere grande (come se non me ne facessi mai!): appena puoi corri a casa (la tua), abbraccia forte la tua mamma e con tutta la tenerezza di cui sei capace dalle un bacio e dille che hai un fratello, che lei non conosce, che le vuole bene e la ricorda ogni sera, perchè altro non può fare; ma lo fa con il cuore.
Ti/vi auguro, a te e a tutta la tua famiglia, con tutto l’affetto una Pasqua di serena “vittoria”.

Ti abbraccio forte, don-fratello mio.
(firmata)

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“Don Marco, molti uomini-ombra sono disperati e alcuni stanno perdendo anche il desiderio di vivere perchè dopo decenni e decenni di carcere si sentono come cadaveri che camminano in attesa di cadere. E non sappiamo più che cosa fare per far conoscere in Italia, la patria del Diritto Romano e della Cristianità, l’esistenza della “Pena di Morte Viva” molto più lunga, dolorosa e crudele di quella normale. Don Marco, è difficile vivere senza nessuna speranza e senza neppure sapere quando finisce la propria pena. Per sconfiggere il male basterebbe scorgere il bene anche dove c’è il male. E trattare con amore i cattivi. Lo sai, lo diceva anche Gesù: non è con il male che si può vincere il male, ma con il bene.
Don Marco, non mi sono mai accontentato di credere in Dio perchè me lo dicono gli altri, preferisco che me lo dica il mio cuore. E dopo aver letto le tue parole, il mio cuore mi sta sussurrando che non è giusto avercela con gli umani e prendersela con Dio non andando a messa. Don Marco, non puoi immaginare come sia difficile vivere senza Dio. E sentirsi solo, murato in una cella.
Sappi, però, che anche se non credo in lui, credo nel suo amore.
Don Marco, lo sai che da quando sono qui nel carcere di Padova (da questa estate) non sono mai venuto in chiesa a trovarti ma, domenica, per la Pasqua di Risurrezione lo farò. E ascolterò, insieme a molti uomini ombra, la Santa Messa.
Don Marco, mi hai scritto: “Carmelo (…) chiedici tutto, ma non chiederci lo sciopero della Messa”. Ti chiedo solo di pregare Dio per gli uomini-ombra. Per convincere gli umani a farci vivere o morire, perchè è troppo doloroso continuare a tenerci in vita senza nessuna possibilità e speranza”.

Un sorriso fra le sbarre
Carmelo Musumeci


Una proposta che sa di augurio
Adesso che Papa Francesco ha dato l’esempio – che altro non è stato se non il prosieguo di quello che ha sempre fatto anche nella sua vita di vescovo e di cardinale – chissà mai che anche a qualche prete/vescovo nasca nel cuore il medesimo desiderio: varcare leporte di un carcere (senza telecamere, taccuini e giornalisti) e accarezzare i piedi di Giuda. E’ il senso di questo lungo articolo che potete trovare ne La Rivista del Clero Italiano di questo mese di marzo 2013: un augurio e un auspicio per una Chiesa credibile oltrechè credente.

Pozza M., «Il lupo di Gubbio. Un anticipio di simpatia sulla realtà del carcere» in La Rivista del Clero Italiano, 3(2013) 212-227

(abstract) La drammatica realtà del sovraffollamento delle carceri italiane rappresenta una vera emergenza umanitaria e chiede a gran voce una pronta soluzione. C’è tuttavia un secondo e più profondo livello del problema: «Esistono gli uomini malvagi ma quelli infelici sono in numero molto maggiore: sono questi ultimi a sovraffollare il carcere e a gridare la voglia di essere ri-educati». Don Marco Pozza, giovane sacerdote della diocesi di Padova, si propone con questa riflessione di favorire nel lettore uno sguardo positivo, che permetta di comprendere quanto di straordinario può accadere nel chiuso di una cella, ove il trauma della detenzione diviene occasione di uno scavo in profondità e di riprogettazione dell’esistenza. Cambiamento che in qualche misura interpella le comunità cristiane, poiché il detenuto, dopo l’espiazione della pena, necessita di un contesto accogliente; infatti, «laddove un uomo o una donna una volta usciti non troveranno una porta aperta o una mano tesa, non rimarrà loro altra chance che ribattere le vecchie strade». Offrire motivi di speranza a chi è a corto di alternative: potrebbe essere questo il vero aiuto che una parrocchia offre al mondo sommerso del carcere.

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