L’Apostolo ci propone, nel brano liturgico tratto dalla prima lettera ai Corinzi, un’interessante lettura della nostra vita di fede, anche nel suo aspetto penitenziale, in chiave sportiva.
Non sappiamo quanto i Corinzi fossero appassionati di sport, ma non è improbabile che l’argomento li infiammasse in maniera non dissimile da quanto capiti negli infuocati derby nostrani, vista l’origine greca dei suoi abitanti. Pur non essendo sicuramente l’unica. Corinto, città sull’omonimo canale, che, secondo il mito, deve i suoi natali a Sisifo, figlio di Eolo, era votata al commercio e alle comunicazioni, era senz’altro una città economicamente e culturalmente vivace.
Paolo ci invita dunque a prestare attenzione a quanto accade allo stadio. Sicuramente, non pensava ai nostri stadi calcio, né di rugby, tutti sport ancora da inventare. Negli occhi, Paolo, così come i Corinzi, avevano le gesta sportive degli uomini dell’atletica leggera e (come si capisce più avanti nel testo) della lotta e del pugilato. Sì, spiace per i pacifisti ad oltranza o i fanatici assoluti del pallone, ma, a livello storico, nacquero prima tutti questi sport, che, pur con qualche legittima evoluzione, ancora oggi offrono spettacolo, divertimento ed emozioni nei luoghi dedicati loro.
L’aspetto più interessante è, però, che Paolo non si limita ad osservare quanto accade sulla pista di atletica, oppure tra i pugili. Va, se così possiamo dire, più in profondità, scavando in quello che è il vero motivo della corona che segue allo sforzo. Ogni atleta non solo si allena: l’Apostolo è molto attento nella scelta delle parole! «Ogni atleta è disciplinato in tutto». Non è una differenza di poco conto. È molto più che allenamento. Porta a pensare ad una cura maniacale nella preparazione; ad una programmazione oculata degli sforzi e dei carichi giornalieri e settimanali; ad un’attenzione costante non solo alla dieta ma anche a qualunque elemento il corpo assuma; ad una scelta accurata, ove richiesto, della migliore attrezzatura disponibile (che, però, nessuno s’illuda, in assenza di allenamento non migliora le prestazioni di un centesimo!). Perché nessuno sport, neanche il più brutale, può vedere campioni che non abbiano lavorato sulla propria testa: a tenere a bada l’insoddisfazione, a rimuovere la rassegnazione, ad incentivare il desiderio di riscatto dopo ogni sconfitta.
Disciplina. È molto più dell’allenamento. È l’esercizio quotidiano di incanalare ogni forza, fisica e mentale, verso l’obiettivo da raggiungere, anteponendolo a qualunque altra voglia passeggera che, a fronte di quello, diventa secondaria. Disciplina è – dunque – l’arte di scegliere le priorità e, sulla base di quelle, compiere ulteriori scelte che, in determinati casi, si possono tradurre in ciò che chiamiamo “rinunce” o “sacrifici”. Di fatto, si tratta della necessaria conseguenza di mirare dritto all’obiettivo, senza lasciarsi distrarre né sviare da qualsivoglia ostacolo sul cammino. Equivale all’utilizzo dei paraocchi nei cavalli: servono per impedire che un pericolo, falsamente interpretato, porti l’animale a comportamenti realmente pericolosi per sé e per gli altri. Nell’uomo, questo lo fa la disciplina. E la disciplina è necessaria in ogni ambito, se si vuole arrivare al risultato, sconfiggendo accidia e pigrizia, che spingerebbero, al contrario, al massimo risultato raggiungibile con il minore sforzo. Peccato però che questo risultato “entropico” sia in genere motivo di insoddisfazione e insufficiente a raggiungere l’obiettivo prefissato.
È interessante, del resto, come la stessa parola “disciplina”, originariamente, facesse riferimento alla frusta e, solo per estensione, ai giorni nostri, ha assunto esplicitamente il significato di educazione, ma, anche di insegnamento di un’arte. È interessante perché denota una severità: disciplinare il corpo lo richiede; richiede di non lasciarsi intenerire, ma di avere sempre presente, nella propria testa l’obiettivo da raggiungere, senza lasciarsi scoraggiare dagl’insuccessi che si potranno incontrare lungo la strada.
«Essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre» puntualizza, però, l’Apostolo. Se è necessaria una disciplina per correre in uno stadio o battersi a pugilato, tanto più sarà richiesta nella vita di fede.
Non siate come il cavallo e come il mulo
privi d’intelligenza;
si piega la loro fierezza con morso e briglie,
se no, a te non si avvicinano. (Sal 32, 9)
E, a volte, noi siamo come i muli: per comportamento, per mentalità, per scelte che riguardano l’anima e il corpo. È impensabile, infatti, che la vita di fede sia una questione soltanto d’anima, dal momento che l’anima nostra è incarnata in un corpo umano, di sangue e visceri, con cui siamo chiamati a giocarci l’esistenza, per costruirci una gioia che non possa essere rubati né da ladri né da ruggine, in una relazione con Dio che non si consuma, nonostante i nostri tradimenti e le nostre opposizioni.
Quella che per gli atleti è la disciplina, sul piano morale è chiamata temperanza: non si tratta di mortificare qualunque motivo di gioia, di intrattenimento, di appagamento fisico o mentale, ma di incanalarli, riposizionandoli in base alle priorità. Ogni esercizio ascetico non è mai, infatti, fine a se stesso, ma in vista di una riscoperta e di un approfondimento della nostra relazione con Dio, punto cardine, in base al quale ogni altro elemento della nostra vita si sviluppa e riceve ordine e direzione.
EPISTOLA 1Cor 9, 24-27
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato.
Cfr. Epistola nella Domenica di inizio Quaresima, anno C
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