Come diritto e rovescio di una moneta: nessun commerciante si sognerebbe mai rifiutare un pagamento se teniamo una moneta in un verso oppure nell’altro. Eppure, per rendere l’esempio più concreto, le monete dell’euro sono oggettivamente diverse da un lato a seconda della provenienza, pur mantenendo invariato il loro valore d’acquisto: con un euro irlandese non compriamo meno che con un euro spagnolo, né viceversa.
Nell’accezione comune, il “diritto” ci richiama alla mente “il giusto”, il “rovescio” invece ciò che è “storto”, vale a dire sbagliato. Si tratta però di un’interpretazione accessoria, non richiesta e non utile. Quanto meno, ai fini della nostra riflessione.
Il maschile ed il femminile sono le due declinazioni declinazioni dell’essere umano, le due forme dell’unica sostanza della quale esso è costituito.
Uomo e donna sono due armonie che si fanno reciprocamente e alternativamente da contrappunto per realizzare la più bella delle sinfonie.
Inutile e controproducente vedere una rivalità che, in fin dei conti, non ha necessità di sussistere. Ci completiamo a vicenda: per questo, non ha senso discutere su chi sia il migliore.
Non è possibile confrontare una lasagna e un tiramisù. O un telefono cellulare e un portaombrelli.
Ognuno ha le proprie, specifiche, peculiarità. Ognuno i propri doni particolari.
Non c’è alcuna competizione. O meglio: ci può essere. Ma rischia di essere assolutamente inutile, oltre che dannosa.
Il riconoscimento della differenza è il secondo passo nella crescita della consapevolezza. Il primo, ma non meno importante, è da considerarsi l’uguaglianza. Con se stessi. Perché ognuno è uguale solo e soltanto a se stesso e a nessun altro. Ecco perché è improponibile avanzare paragoni di sorta.
Questo è il primo traguardo cui arriva il bambino. Anche se, inizialmente, si tratta del raggiungimento in modo pressoché istintivo, con una soglia minima di consapevolezza. Eppure, esattamente a questo sono volte le prime fatiche della crescita del bimbo, dal periodo fetale fino all’età prescolare. Il bambino si osserva, si tasta, impara a misurare la propria forza, sperimenta chi è, cerca di comprendere i segnali e gli stimoli del proprio corpo (la fame, la sete, il sonno, il dolore) e le strategie per essere ascoltato nelle proprie necessità. Si mette alla prova: inizialmente dal punto di vista fisico, poi da quello intellettivo ed emotivo.
Solo quando inizia a padroneggiarsi, inizierà ad esplorare i “dintorni”, prima con gli occhi, lo sguardo e l’udito, poi con il tatto, il gusto e l’olfatto ed infine inizando a muovere i passi, per allargare il proprio campo d’esplorazione e di conoscenza. Sarà il segnale, per sé e per gli altri, che è pronto per nuove avventure, che intende andare oltre sé, alla ricerca di ciò che è diverso, in quanto “altro-da- sé”. Cioè, tutto il resto.
Naturalmente, queste sono solo le prime conquiste, che saranno irrimediabilmente messe in discussione in particolar modo durante l’adolescenza, periodo durante il quale generalmente l’individuo ha una generale perdita, o quanto meno diminuzione dell’autostima, in gran parte dovuta ad una ricostruzione del sé, che si rende necessaria, di fronte al repentino e radicale cambiamento che sta subendo la propria immagine riflessa nello specchio, unitamente alla propria anima che non è in grado di palesarsi di fronte ad alcuna superficie riflettente, all’infuori di un altro spirito attento e capace di captarne la fisionomia con gli occhi del cuore.
Naturalmente, tutto ciò non significa ridurre l’originalità individuale ai due generi, ma riconoscere la propria appartenenza è un passo necessario e indispensabile nella costruzione della propria identità, nel riconoscimento di se stessi e nella creazione del proprio vivere armoniosamente in compagnia di se stessi e degli altri.
Come ben sintetizza Costanza Miriano con la sua abituale pragmaticità nel suo blog, «maschio e femmina non si riduce a una questione di principesse e cavalieri», ma «la nostra identità sessuale ci segna in ogni cellula, in ogni fibra del nostro essere, e non è un orientamento culturale, né qualcosa che riguarda solamente il sesso. Parliamo, pensiamo, agiamo, amiamo, sentiamo, viviamo e poi ci muoviamo, mangiamo, dormiamo, scherziamo, ci divertiamo in modi profondissimamente diversi, a seconda che siamo maschio o femmina. Dio ci ha creati maschio e femmina a sua immagine, questa è la verità sull’uomo, ed è una verità che parla di una ricchezza stimolante e bellissima. Parla di una relazione, come anche il nostro Dio, Trinità, è relazione.Ogni donna si definisce in base alla relazione che ha con l’uomo, e viceversa. Così è evidentemente per gli sposati, ma così dovrebbe essere anche per i consacrati, uomini e donne, che non devono avere paura, ma venerazione per la differenza. Non c’è niente di più casto, cioè generoso e disposto al dono, di una vera profonda amicizia. Anche tra uomo e donna. Anche tra un sacerdote e una donna, anche tra una suora e un uomo».
Riconoscere la nostra unicità e originalità non basta. È necessario imparare a vivere, a conoscere ed a far propria nel modo migliore la propria sessualità, cioè quell’insieme di caratteristiche che vanno ben oltre la genitalità e che caratterizzano l’essere maschi oppure femmine.
In cosa consistono, concretamente, queste differenze: Francesco Agnoli ce ne offre una simpatica carrellata, ben conscio che si tratta solo di un’esemplificazione:
«L’uomo ama la storia e la politica, discute di massimi sistemi, si crede il ct della nazionale, anche quando non fa politica o non sa per nulla giocare a calcio. La donna, di massima, preferisce la letteratura, la poesia, la psicologia, quando hanno a che fare con vicende, pensieri, emozioni concreti, sperimentati e sperimentabili nella quotidianità. Prendiamo un esempio concreto: la donna tragicizza talora il particolare, una lite col vicino, un malore del figlio, mentre l’uomo lo minimizza, alla luce dell’universale, e alleggerisce pesi che la donna farebbe troppo grandi, ma che lui, però, magari neppure noterebbe. Si instaura così un perfetto bilanciamento che evidenzia la complementarietà tra le due creature. La concretezza della donna, legata al suo compito di madre e di moglie, ha una grande funzione: la rende, tutto sommato, ottimista. E’ più difficile che la donna si ponga davanti problemi immensi, astratti, perché preferisce affrontarli e risolverli di volta in volta, ed è più raro, quindi, che ne rimanga schiacciata. E’ l’uomo che, intellettualizzando quello che invece andrebbe vissuto, con slancio di cuore, si rifugia, molto più spesso, statisticamente, nella droga, o nel suicidio. L’ atteggiamento femminile, più umile, più amoroso, più incarnato, la rende anche naturalmente più religiosa. La madre si inginocchia più facilmente del padre; l’amore è più umile dell’autorità. Sono più numerose le donne che pregano, che vanno in Chiesa, che sentono la loro dipendenza, degli uomini. Essi invece cercano le soluzioni più in grande, quelle sociali, politiche: possono essere, per dirne una, grandi inventori di splendide macchine, di grandi trovate, economiche, politiche, ecc., ma possono anche degenerare nell’astrattezza dell’ideologia e dell’utopia. Non è un caso che le ideologie e le utopie di morte, nate dalla sottovalutazione dei “particolari”, dalla astrattezza e dalla superbia, siano frutto di menti maschili, e non femminili. L’insoddisfazione nociva infatti nasce più facilmente in chi cerca di imporsi sulla realtà, piuttosto che in colei che, per sua natura, serve una realtà, la vita nascente, sperimentata fin da principio come dono».
L’universo relazionale risulta frammentato e monco, ogni qualvolta si cerca di eludere la dualità dell’essere umano, vale a dire le diversità attraverso cui esprime il proprio essere “maschio” oppure “femmina”. Imprescindibile, irrinunciabile caratteristica che ci è fornita come caratteristica peculiare e come strumento per vivere nel mondo e conoscerlo.
Partendo infatti dalla plausibile ipotesi che la realtà sia inconoscibile nella sua complessa totalità, è allora più immediato comprendere come solo dall’unione della visione maschile e di quella femminile potremo davvero (quanto meno!) avvicinarci ad una visione che abbia l’ambizione di essere la più ampia possibile della realtà che ci circonda.
E che non può avvenire al di fuori della verità di se stessi e dell’accoglienza della differente ricchezza che l’altro ci rende disponibile, proprio per il modo diverso che ha di declinare la propria umanità!
Alcune fonti: