Pontelongo1

Al forestiero cortese che gli dedica anche solo un cenno d’attenzione, gli fa dono di mille rimborsi: il suono ferroso del fabbro, quello goffo e legnoso del calzolaio, la voce burrascosa dell’acqua e quella silente e maestosa delle nenie monastiche e abbaziali. Suoni, anche voci: la voce riprovevole della maestra, lo starnazzare delle oche, il belato delle pecore, la voce orante e ruspante di chi baratta pezzi d’autore, lo schiamazzo di chi gioca a palla nel cortile. Suoni e voci, anche immagini: la casa scarna d’un tempo che è divenuto una memoria, l’ortolano di mercato, il soldato in rigorosa divisa, la donna delle candele e quella delle spezie. Odori tutt’intorno: di cera, di muffa, di pane. Di Vangelo.
Fare-il-presepio significa imprigionare, dentro una festa di muschi e stelline, il Dio-Bambino che richiama così ferocemente la stagione della nostra giovinezza, il paese dal quale ciascuno proviene: una scenografia succinta, disadorna. Come quella tramandata da Tommaso da Celano, nella sua “Vita Prima”: «In quella scena si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà» Si era, allora, a Greccio, dicembre 1223. Il primo presepio porta ancor oggi l’intuizione di Francesco, l’uomo delle cose-belle che, con molta modestia, decise in cuor suo di scegliere nient’altro che la Bellezza come compagna delle sue peripezie. Una Presenza che, quella notte, divenne gusto, il gusto di Dio: rievocò «il Bambino di Betlemme, e ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare tutta la dolcezza di quelle parole». Molto più che un dettaglio: quasi segreto, più che confidenza, anticipo di santità: «Lui stesso assaporò una consolazione mai gustata prima». D’allora, ciò che era suo divenne di tutti. Duplicarono i presepi, affinarono i gusti, c’era Dio da custodire: «Il Verbo si fece carne e piantò la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14). Ogni presepio è gemellato con Greccio.
Pontelongo è terra di Veneto: nebbia e acqua, fiumi e commerci. E’ una donna che macina bietole, raffina zucchero al punto tale d’essere il “paese dello zucchero”. Uno sposalizio che dura da dieci decadi. Anche terra di fede: quella scorbutica, ferruginosa, rurale. Non toccate loro la Madonna, per carità. Tra una notte e l’alba, per lei stendono a maggio un ponte di navi: certe dichiarazioni sanno d’amore folle e bambino, quasi esagerate se non fosse ch’è memoria di un passato sempre acceso. Per lei, ma anche per il suo Bambino, il Dio-Bambino, non guardano a spese di tempo, d’ingegno: è loro uno dei presepi viventi più “gemelli” di quello francescano. “Cristo ha piantato la sua tenda a Pontelongo”, deve aver pensato il loro prete anni fa, giunto da tutt’altre zone ma nato lì vicino. Si chiama Aldo: nome tipico di pastore, odora di notti all’addiaccio, di fede e di stupore bambino. All’apparente disinteresse verso Dio e i suoi misteri, s’è agganciato all’intuito furbastro del fraticello d’Assisi: coinvolgere Cristo nella vita feriale della sua gente. Detto e fatto: casoni, mercanzie, greggi e armenti, oche e fabbri, sterco, spezie. E’ il suo corso di catechismo annuale: manovre più che discorsi, linguaggio dei bambini più che quello dei rabbini. Ha preso la mano della sua gente e l’ha portata-a-spasso per il mistero natalizio: ha preso Dio e l’ha portato a spasso tra le strade della sua parrocchia.
Un piccolo gioiello d’arte e di fede gustato ogni anno da decine di migliaia di visitatori. Oltre duecento figuranti, mezzo anno d’organizzazione, passione del particolare e visione d’insieme: il gusto-di-Dio nell’ingegno paesano. Per poi, ad opera compiuta, ammettere che il Dio lontano, e magari noioso, è stata la vera ragione di tutto quel simpatico arrabattare d’autunno: avevano aiutato Dio a nascere senz’accorgersi. Il Dio-delle-sorprese, capace di sorpresa.

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