inferno

Torna a sedere, per un attimo, sui banchi di scuola. Pensa: c’era qualcosa di più odioso che vedere entrare in aula l’insegnante – quello che il giorno prima aveva rassicurato tutti dicendo che l’indomani avrebbe proseguito con il programma (dunque “oggi non si studia, evvai!”, hai tradotto tu) – che, d’improvviso, reca l’annuncio di una “verifica a sorpresa”? Un istante, questo, che abbiamo sofferto in tanti: odiosissimo, insopportabile, senza scampo. Eppure, se ripensato a posteriori, non esiste maniera migliore per valutare una preparazione se non quella di colpire a sorpresa uno studente. In caso contrario si preparerà a puntino. (Ri)pensa, poi, a quella prof – tutti ne abbiamo conosciuto una così – che, desiderando la tua promozione ancora più di te, il giorno prima della verifica ti si avvicina e, senza che nessuno se ne accorga, ti dice all’orecchio: “Nel pomeriggio, studiati bene queste domande”. Non ti ha detto che domani farà una verifica, ma te l’ha fatto capire: che la farà e quelle saranno le domande che troverai. Il che equivale a dirti: “Domani hai l’occasione giusta: voglio salvarti, preparati bene su questo”. Quando capita, sarà capitato qualche volta negli anni della scuola, quella prof diventerà ai tuoi occhi una prof-salvavita: ti ha anticipato intelligentemente la traccia della prova. Qual’è il risultato? Non solo la salvezza dell’anno scolastico, anche il fatto che la giornata prima non l’hai vissuta nell’ansia: la notte, addirittura, hai dormito bene. A chi ti diceva: “Non sei preoccupato?” ti veniva da rispondere: “Io preoccupato? Tanto so già le domande che mi farà!” Tacevi, però. E sorridevi.
Perchè, dunque, spaventarsi pensando all’ultimo giorno della storia, quello della grande venuta di Cristo alla fine dei tempi? “Sono terrorizzato all’idea del Giudizio Universale: ho una paura boia di vedermi cacciare all’Inferno”. É roba da mentecatti pensare così: come studenti che, avendo già le domande in tasca, vogliono farsi bocciare a tutti i costi. Non ti sei mai accorto che le domande di quel Giudizio – la più grande verifica della storia – Gesù te le ha già anticipate, in modo che ti prepari? «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare – spiffera con arguzia nel Vangelo -, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». La verifica finale consisterà nel dimostrare d’aver saputo declinare i verbi più elementari, quelli casa-e-bottega. Casa-e-chiesa, verrebbe da dire: dare da mangiare, dare da bere, accogliere, vestire, visitare. “Hai una vita per imparare a concretizzarli – ti dice Dio – Vivi sereno, non farti fregare dal pensiero che ti chieda dell’altro. Allenati, vediamo cosa ne verrà fuori”. Il Giudizio, allora, altro non sarà che consegnargli la verifica e sentirsi dire, in viva-voce, cos’avremo fatto della nostra vita. Proprio come a scuola, soltanto che invece della prof in cattedra c’è il Dio-misericordia (ha anticipato le domande: c’è una forma di misericordia più assoluta?) che «siederà sul trono della sua gloria». Davanti a lui sfileremo tutti, come studenti in fila, per farci leggere la nostra storia. Ci sono stati eventi opachi, nebulosi, incompresi. Di alcune cose non abbiamo afferrato il senso, sbagliato il contesto. Tutti vogliamo capire davvero come siano andate le cose.
Il Giudizio Finale è tutto qui: una riconsegna di ciò che Lui, per primo, ti ha consegnato. “Ho paura che Dio mi mandi all’Inferno!” dice ancora qualcuno. Non c’è un pensiero più eretico: Dio non caccia nessuno all’inferno. Leggete bene il Vangelo, non all’acqua di rosa però: «Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli. Perchè avevo (e non mi avete)». Eccolo: è un Dio premuroso, non un pennuto pronto a beccarti: “Ti avevo dato tutte le domande, hai scelto di non leggerle, pensando scherzassi. Cos’altro potevo fare per salvarti?” A Dio interesserà il bene: quello compiuto è la vicinanza del Paradiso, quello non fatto è la lontananza da Dio, il male. Non ti manda all’inferno, al massimo decidi tu di andarci. Ti viene da adorare un Dio così. Un Dio che sa che ci esistono cose peggiori di un’assenza: è una presenza distratta. Che, in un bicchiere d’acqua, non s’accorge stia nascosta la strada per il Paradiso e l’Inferno. Deciderai tu, non Lui, quale prendere. E, stavolta, sarà la risposta definitiva. Per sempre.

(da Il Sussidiario, 21 novembre 2020)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Matteo 25,31-46).

copertina

Dal 9 ottobre, in tutte le librerie, Ciò che vuoto non è (San Paolo, 2020), il nuovo libro di Marco Pozza
Il vuoto: «Mesi di vuoto dappertutto: dentro, fuori, in basso, qualcuno temeva pure lassù. Non è stato così: eppure “benvenuti alla resa finale!” hanno pensato in tanti». E se quel vuoto fosse stata una misura: “Quanto ti manco?” In una casa, l’unica stanza piena è quella vuota: è tutta colma del suo vuoto, di se stessa. E’ davvero necessario riempire ogni vuoto a tutti i costi?
In Ciò che vuoto non è l’autore ripercorre gli articoli del Credo cristiano alla luce del vuoto dei mesi di pandemia: «L’uomo ha diritto di voto, la bellezza ha diritto di vuoto per brillare» scrive. Che nome dare a quel vuoto? Per chi crede il vuoto è una mancanza piena di nostalgia, per chi non crede è pur sempre un’esperienza mistica: certe domande, comunque, hanno bisogno di vuoto attorno per respirare. Ripartiamo, dunque! Da quel sepolcro che le donne, a Gerusalemme, hanno trovato vuoto il mattino di Pasqua. E’ d’allora che quella cristiana è fede fondata sul vuoto, fede che ha diritto di vuoto.
Tra memorie paesane e sprazzi di attualità, l’autore si concede delle lezioni di lentezza per cercare una risposta alla domanda che ci interpella ovunque, soprattutto sul ciglio dell’afflizione: “Perchè credere quando attorno è buio”? Nell’emergenza il Vangelo resta uno spicchio di luna a forma di falce: la parte fulgente illumina quella oscura. Che vuota non è (dall’aletta di copertina).
(Per acquistarlo online clicca qui)

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