Lo dicono spesso ai bambini vivaci con un tocco di vis polemica: “suo figlio è un po’ troppo esuberante, signora”: come un invito implicito a moderarsi, a ridimensionare gli atteggiamenti e a non disturbare la quiete generale. Come il divieto di clacson che compare all’ingresso dei centri abitati. Esuberante fu uno dei primi aggettivi che mia mamma sentì aleggiare sin dai miei primi giorni di scuola materna (poi quella elementare, media, superiore, universitaria, sacerdotale). È un po’ triste che lo si senta sempre proporre con quest’accenno negativo – cioè di un qualcosa che non è apprezzato – perché alla fine si finisce per rivestire di bruttezza uno dei termini più belli che il vocabolario tenga nel suo grembo. Apritene uno qualsiasi e scoprirete che la signora esuberanza fa parte di una famiglia di donne tra loro gemelle – che il vocabolario chiama sinonimi – dall’intrigo tutto femminile: “brio, dovizia, energia, vitalità, gaiezza, sovrabbondanza, splendore, vigore, effervescenza, freschezza. Vivacità, verve, eccedenza, esorbitanza, ebbrezza, eccitazione, euforia, dismisura”. Le sue nemiche dichiarate e un po’ tanto gelose – che il vocabolario chiama contrari – sono abulia, apatia, calma, demotivazione, indifferenza, torpore. Quando contemplo le sue gemelle (che pure loro sono donne belle, ndr), sovrabbondanza è quella che più mi convince: esuberanza come sovrabbondanza, ovverosia l’incapacità di tenere esclusivamente per sé qualcosa e sentirsi felicemente costretti a condividere tale ricchezza per non farla disperdere. È l’immagine di un’anfora che non riesce a trattenere una quantità d’acqua superiore alla sua capienza e la vede fuoriuscire dall’alto. L’esuberanza è tutt’altro che una signora dai brutti costumi da evitare: è la sua eccedenza che ce lo impedisce. Quale immagine più bella per tratteggiare oggi un’immagine onesta di Dio? Forse anche Maria di Nazareth – mentre s’apprestava da buona donna feriale a svolgere le sue mansioni di sposa e di casalinga (ci perdoni Maria se oggi le togliamo la sua aureola di santità che le hanno incastrato nelle chiese e nei capitelli) – nei viottoli di Palestina si sarà sentita dire a riguardo del Figlio suo “è un po’ troppo esuberante, Maria”: cioè è troppo, è un passo oltre, non si riesce a trattenerlo, scappa dappertutto. Dipingere Dio come un esuberante, quindi, è tutt’altro che un’offesa alla sua dignità ma è forse uno dei termini che più rispecchiano il suo desiderio ardente di darsi all’uomo nella sua esorbitante ricchezza. Fino a farsi Pane Spezzato.
“L’esuberanza di Dio. Corso di Teologia Fondamentale” non sono lezioni scolastiche o un corso accademico. O meglio: lo sono nella misura in cui dobbiamo lasciare dormire sonni tranquilli a coloro che vegliano per vocazione sulla formalità delle carte. Nel suo intento sono delle conversazioni mattutine (il primo semestre) e vespertine (il secondo semestre) attorno al tema meraviglioso della Teologia Fondamentale. Lei sembra essere una dama che fa un po’ la preziosa e mostra delle sembianze complicate: in realtà, basta iniziare a contemplare un po’ da vicino il suo incedere e il suo fascinoso passaggio per accorgersi che è una donna “a portata di mano”.
Figlia di una falda preziosa della Scrittura, la Teologia Fondamentale trattiene e sviluppa un itinerario – affascinante per bellezza e provocatorio per sfida – che dovrebbe accendere in lei il desiderio di inabissarsi nel cuore dell’uomo d’oggi: per raccogliere le sfide, tradurre gli aneliti, per far esplodere le tracce di Dio in esso depositati nell’atto della creazione. Essa, infatti, s’appresta a studiare come l’evento della Rivelazione Divina (Dio è così esuberante che ad un certo punto spande la sua grazia fuori da Sé) si sia inabissato nell’umano facendo sì che il Dio invisibile «nel suo immenso amore parlasse agli uomini come ad amici per invitarli ed ammetterli alla relazione con Lui» (Dei Verbum 2). Una Rivelazione apportatrice di salvezza fattasi carne e storia nella figura di Gesù di Nazareth le cui vicende ed espressioni trovano ospitalità nel mondo dei Vangeli proclamati dagli Apostoli e testimoniato in tutte le righe della Scrittura Sacra. I Vangeli oltreché provocatori sono pure convocatori: ragione per cui la Teologia Fondamentale abbraccia lo studio della tradizione viva della comunità credente compreso il ruolo di interprete fedele attribuito al Magistero.
Ma la nostra disciplina ha un suo contenuto proprio che fa di lei una custode fedele ed un’esploratrice appassionata al tempo stesso: suo interesse è esaminare l’actus fidei (cioè la scelta di credere) attraverso il quale l’uomo entra nella comunione con il Dio che a lui si rivela. Ecco, dunque, la doppia direzione che s’appresta a perseguire: se da un lato è suo interesse trattare la credibilità del messaggio cristiano scandagliando le rationes fidei – con occhio di riguardo all’uomo che, pur nel mondo secolarizzato, rimane l’uditore prediletto di una Parola che interpella -, dall’altro fa memoria del mistero e della storia del Nazareno «mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione» (DV 2) «nel quale trova luce il mistero dell’uomo» (GS 22): con gli occhi sempre tesi alla mediazione della Chiesa che nel mondo è sacramento di Cristo. La Fondamentale al pari di una sentinella che, vigilando sulle traiettorie dell’umano, fa memoria della sua infanzia. Ma anche esploratrice e interprete appassionata e appassionante dell’auditus temporis (l’ascolto della “cronaca quotidiana”), per quel che di rischioso le viene chiesto: pensare e dialogare in frontiera, laddove la fede e la cultura, il pluralismo e la non credenza, l’indifferenza e la disaffezione stanno conducendo oggi una fastidiosa e provvidenziale battaglia.
Fedeltà ad un nocciolo eterno e arditezza nello stile, per offrire di lei un tocco di amabilità piacevole da assaporare e incontrare.
Oggi non è facile dire Dio, perché è come se la cinghia di trasmissione tra fede e quotidianità (tra il nostro dirci cristiani e le nostre scelte concrete) si fosse logorata o addirittura rotta. Seduti di fronte ad un pantheon di idoli, sembra esserci posto per tutti e per nessuno: per chi uccide in nome di Dio, per chi vive come se Dio non ci fosse, per chi si trastulla al tepore di una funesta indifferenza. Finora il cristianesimo ha corso il rischio di vivere su di un’ambiguità: essere cristiani senza diventarlo, praticanti senza un cammino di fede, quasi turisti distratti saliti su un treno del quale ignorano la provenienza e, forse, la destinazione ultima. Saliti perché era di moda salire senza conoscere le sorgenti dalle quali scaturisce il grande fiume del fatto cristiano. Fino a imbatterci in dei credenti culturali che entrano in Chiesa per contemplare le belle vetrate senz’accorgersi che nel Pane consacrato c’è tutta l’esuberante ricchezza e scandalo del Cristianesimo. È un cristianesimo che oggi ci rende un po’ ridicoli agli occhi di chi di Dio non è un grande frequentatore o un appassionato investigatore.
Solo chi ha conosciuto un Dio sbagliato – magari costruito dettagliatamente in anni e anni di catechismo più o meno ortodosso, come ci ricorda Charles Peguy – trova ridicolo o diffamante dare dell’esuberante a Dio. Chi invece magari a tentoni sta battendo piste ardite per inseguire il Suo profumo scopre che tolta l’esuberanza a Dio (che altro non è che un sinonimo di un Amore Intrattenibile) sarebbe troppo semplice confonderlo con uno di quei tanti idoli o dei di cui si prese gioco il profeta Elia quando, sfidato, dimostrò ai sacerdoti di Baal che il loro dio era forse un po’ addormentato (1Re 1,128 ss.). Al contrario del suo che, invece, quella volta si dimostrò esuberante pure nella manifestazione della sua presenza.
Che Dio sia esuberante è la bella notizia che oggi il cristianesimo può far valere: perché in un mondo di omogeneizzati e di ogm (organismi geneticamente modificati, ndr) c’è ancora Qualcuno che al naturale rompe gli argini e chiama all’azione: continuare a scrivere la sua Storia d’Amore da sussurrare sotto i davanzali di ogni casa dove abita un Uomo che cerca un futuro da protagonista.
In sua compagnia.
*La sigla presente nel titolo del post (VM 18) significa “Vietato ai maggiori di 18 anni”. Non ai minori di 18. L’intento è provocatorio: 18 anni è il termine in cui in Italia si è maggiorenni. E vaccinati dicono nelle mie zone. Questo corso, dunque, è vietato a coloro che si sentono maggiorenni nei confronti di Dio. Potrebbe provocare effetti collaterali a chi lo somministra (il sottoscritto) e a chi vi partecipa come ascoltatore.
L’avviso esime l’organizzazione da ogni responsabilità postuma.
Alcune informazioni in merito al corso
– Il corso “L’esuberanza di Dio. Corso di Teologia Fondamentale” tenuto da don Marco Pozza si svolgerà da settembre a dicembre 2011, tutti i mercoledì mattina (inizio il 14 settembre) dalle 9.00 alle 11.00 c/o Centro Parrocchiale “A. Ferrarin”, Via Santa Rosa 4 – parrocchia di San Vincenzo, Thiene (VI). Verrà ripetuto da gennaio ad aprile 2012, tutti i venerdì sera dalle 21.45 alle 23.00, presso lo stesso posto. Le iscrizioni si fanno alla prima lezione di ogni corso.
– La lectio inauguralis per tutta la scuola (aperta al pubblico) sarà tenuta da don Marco Pozza martedì 25 ottobre 2011 alle ore 20.45 e avrà come titolo “Dire Dio tra cocktail, graffiti e canto gregoriano. la teologia in dialogo con le nuove generazioni”.
– Tutte le altre informazioni sul corso le trovate in questo sito.