Nei racconti della Genesi, Dio sembra quasi come i cinquantenni, che si scoprono improvvisamente “smemorati”, incapaci di ricordare quello che prima riuscivano a tenere a mente.
Noè dimenticato
Capita con Noè. Prima gli fornisce dettagliate istruzioni, neanche fosse una raccolta per collezionisti in più uscite della Hachette, per fabbricare da sé un’enorme arca, per portare in salvo, oltre a sé e alla propria famiglia, anche animali di ogni specie… poi lo lascia lì, a mollo nell’acqua, ad ammirare quel paesaggio sommerso, preoccupato di poter avere viveri a sufficienza per tutti e vigore per mantenere in pace predatori e prede. Finché, finalmente, dopo giorni…
«Dio si ricordò di Noè» (Gen 8,1)
Quasi come un padre smemorato, dimentico dell’impegno di andare a ritirare il figlio all’asilo, che si ritrova un frugoletto dall’aria sperduta e disperata, piangere enormi lacrimoni, nel timore di essere stato definitivamente abbandonato dal fedifrago genitore.
Lot e Sodoma e Gomorra
Di nuovo, torna il tema della memoria. Di nuovo, torna il tema della distruzione.
Così, quando distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato (Gen 18,29)
Dio informa Abramo delle sue intenzioni, come un amico. Abramo come intermediario e intercessore. Non solo per il suo parente Lot, ma anche per tutti i fantomatici giusti che avrebbero potuto abitare in città. Per non far morire giusti con ingiusti[1]. Dio “contratta”, come un mercante, le condizioni per la distruzione (o meno) della città. Certo, sono parole umane. Riduzionismo per esprimere l’immensità di Dio, ma con un fondo di verità.
Un Dio che ricorda e chiede di ricordare
Da sempre, Dio ricorda. Anche quando pare dimenticarsi. Dio ricorda. Ricorda tutto. Compreso il peccato. Ma ricorda anzitutto il tuo nome. E te lo ricorda, anche quando il peccato sembra sovrastare ogni altro dettaglio che ti descriva. E te lo ricorda, soprattutto, nel Memoriale per eccellenza, quello in cui, nei suoi gesti, il Figlio dell’Uomo esprime che “non è venuto per condannare, ma per salvare”[2]. Lo fa, stendendo le braccia sulla croce.
Ricordando ogni nome, uno per uno, di coloro per i quali offre la vita. Per poi riprenderla, vittorioso sul Nemico più temibile, che è la morte.
[1] Cfr. Gen 18, 25
[2] Cfr. Gv 12, 47
Rif. Prima lettura ambrosiana, nella IV domenica dopo Pentecoste , anno B (Gen 18, 17-21; 19, 1. 12-13. 15. 23-29)
Fonte immagine: listverse
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