Fregato dalla paura: così fifone da rinunciare a vincere per la semplice paura di poter perdere. Così tanto perdente che, all’indomani della sua morte, non ci pensarono due volte ad affiggere l’epitaffio funebre sin sulla sua tomba, ad imperitura memoria per coloro che a lui guarderanno con una lacelata simpatia: “Qui giace un talento nato morto” (liturgia della XXXIII^ domenica del tempo ordinario). Ognuno muore come vive: costui sembra essere morto nuovo di zecca: mica la migliore delle finali dentro le righe di fantasia e d’immane sorpresa dei Vangeli. Adesso che il padrone ha rimesso a posto il suo tesoro, spiegateglielo voi, a quel terzo servo del Vangelo, che alzarsi la mattina e mettere in conto di poter fallire rende liberi di giocarsi la vita. Forse l’avrà pure capito: è che – quando il Cristo avanza la proposta di mettersi in cooperativa con Lui – certi attimi o li firmi al volo o li perdi per l’Eterno.
Mica erano state fatte delle preferenze: ad ognuno secondo le sue possibilità. La vera disuguaglianza sarebbe stata quella di dare a qualcuno più di quello che avrebbe potuto fare nel suo piccolo: pretendere dal figlio di un agricoltore lo stesso indice d’apprendimento del figlio di un docente universitario è logica degli uomini. Dio ragiona diverso, ragiona giusto: la sua giustizia è dare a ciascuno secondo le possibilità. Esagerare con le pretese potrebbe un giorno valere l’umiliazione di chi, schiacciato dalle aspettative, non riuscirà nemmeno ad esprimere quel poco che poteva. Quel giusto che era. Così va la storia: «A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno». Mica inutile quell’aggiunta: secondo le capacità di ciascuno. Ne troppo, ne troppo poco: il tutto che ciascuno avrebbe potuto giocarsi.
Va e torna il Padrone, come gli antichi generali: si va, si conquista la terra e si torna. E’ dai tempi di Ulisse che ogni andata è sempre per un ritorno. Un ritorno che è una terra – Itaca – ma ancor più un’identità: si torna al centro di se stessi, al cuore della propria storia, dentro i sogni di Dio. «Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque (…) “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”». Intraprendenti i due servi: consapevoli che il padrone li aveva onorati della fiducia, vollero procurargli gioia con l’impegno. Per poi lasciarsi sorprendere da quel Padrone assai diverso dai padroni di quaggiù: vanno per restituirgli il guadagno, ritornano non solo col guadagno, ma addirittura tutto viene raddoppiato. Ci sono giorni nei Vangeli dove sembra non poterci essere grandezza senza esagerazione; gioia senza la libertà. Lo stesso padrone che attende l’ultimo servo: quello che, paralizzato dalla paura, ragionò con un mesto “meglio non correre rischi!” La sua impresa d’uomo fu quella di scavarsi una buca e nascondere lui con i suoi talenti a disposizione: “Figurati: e se me li rubano. Loro si che sono fortunati: ne hanno di più. Non ne sono capace. Non ci provo nemmeno. Non ci riuscirò mai. Tanto, non serve a niente. Ma poi: cosa dirà la gente se li perdo? Se mi capita mi sparo!”. Con quell’altra scusante che lo scredita oltremodo: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». Paura di Dio.
Guardalo il suo vero cruccio: la paura di Dio. Davvero si può aver paura di un Dio che ti consegna il mondo? Poche istruzioni d’uso e il massimo della libertà. Fino al paradosso: abitare il mondo in sua compagnia e scriverne assieme la storia. Più che paura fu forse pavidità: mica lo sperperò quel talento – i bravi ragazzi solitamente hanno poca fantasia nei Vangeli -, semplicemente lo nascose. La Bellezza per lui fu un tranello, poco più che un’occasione di paura: alcuni non cercano la Verità perchè hanno paura di trovarla per davvero. Paura di farsi sorprendere, addomesticare, scompigliare i capelli. Fine: «Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti». Qualcuno, a posteriori, inventò il detto: “perseverare è diabolico”. Forse lesse male i Vangeli: in certe pagine perseverare è fare felice Dio. Diventare felici con Dio.
Avviso Parrocchiale
Però, vi prego: non esagerate con il terzo servo stasera. Lo so che verrebbe voglia di tirargli il collo, di gridargli quanto fifone sei!, di esporlo al pubblico ludibrio. E magari pure di rinfacciargli che s’è mangiato l’occasione della vita. Il problema è che non tutte le catechiste sono come quella che ho avuto io: la mia nonna. Chissà quale figura di Dio gli avranno raccontato le sue catechiste in quelle ore di catechismo più o meno ortodosso sopportato all’ombra del campanile. Le immagino (nel frattempo spero che qualcuna abbia un po’ smarrito l’acidità del tempo): gli avranno raccontato della barba e dei baffi, delle rughe e delle minacce, della sua forza e onnipotenza oltrechè dei suoi occhi che ti squadrano, delle sue mani gigantesche, della sua curiosità fin sotto il piumino. Povero Gesù, abbi pietà di noi. E scusaci perchè dietro quella paura del terzo servo ci stiamo anche noi, tua chiesa: che governa più con la paura che con la gioia, che parla di Te come di un cimelio da mausoleo piuttosto che con i colori freschi della primavera, che ti ha incastrato nei catechismi, nei vestiti e nei capitelli mentre tu sei nato per stare sulla strada. Scusaci davvero: stavolta abbiamo mandato avanti lui – come Davide quella volta mise in capo all’esercito Uria per rubargli la moglie – perchè temevamo noi la brutta figura. Io stasera mi sento in colpa perchè mi sembrava di essere davanti alla televisione a guardare L’eredità: la mamma s’incavolava perchè il concorrente sbagliava risposte così semplici, il papà rideva quando la ghigliottina ha dimezzato quattro volte il capitale, il nonno beveva un’ombra di rosso mentre il concorrente pensava alla risposta giusta. Poi io ho detto: “adesso telefono a Carlo Conti e vi iscrivo”. Ho fatto per alzarmi e mi sono corsi dietro a nascondermi il cordless: “per carità!” ha urlato la mamma impazzita. La cucina di casa mia sembrava in preda al panico. Per una telefonata, capisci Signore. In quell’istante ho pensato al terzo servo del tuo Vangelo. E mi ha fatto tenerezza perchè stasera, magari per colpa mia, lo prenderanno tutti in giro. E non è giusto. Perchè ricordo che nei Vangeli c’è un solo miracolo che quando riesce procura gioia nel Cielo: quello che accade ogni qual volta uno lascia o rischia tutto per seguire Te e la tua follia d’Amore. Ma non sempre capita.
E pure un dubbio m’è rimasto a strozzarmi la gola mentre m’addormento: qualora tu entrassi dal cancello della mia bellissima casetta – dove, per l’appunto, c’è ancora in onda Carlo Conti -, mi troveresti a scavare una buca oppure fuori casa ad investire il capitale che mi hai immeritatamente accreditato?
(Marco Pozza, L’odore del gregge. Squarci di misericordia sul far della sera, 2013)