Il primo settembre è come il lunedì mattina della settimana: ha il gusto, retrogrado, di inizio e di fine, un punto in mezzo a tutto il resto. E’ l’estate: giugno somiglia al venerdì, luglio al sabato, agosto alla domenica. Il mese di settembre, poi, assomiglia ad un perfetto adolescente: di giorno fa caldo, la sera freddo, la nostalgia del mare, l’ansia per l’incerto. Con quell’avverbio, tipico di settembre, del quale son zeppi i nostri tentativi di ripartire: “di nuovo”. Un avverbio di modo, il sospetto di una routine, il tedio di un’abitudine sempre accovacciata alla porta: “Si ritorna di-nuovo alle solite cose. Perchè dover tornare di-nuovo a scuola? La settimana prossima, vedrai, di-nuovo la solita fatica. Cosa ci toccherà in sorte quest’anno? Vedrai, di-nuovo casa, scuola, lavoro!” Avrà ragione Sepulveda a scrivere che «gli umani dedicano la vita a ripetere cose, gesti, comportamenti comportamenti che chiamano abitudini»? Oppure avrà ragione chi, in mezzo ad un mare di fatica, si ostina a professare fede nella vita che non si ripete mai?
Quell’avverbio – “di nuovo” – è un’esca meravigliosa, una quasi soluzione al dramma dell’abitudine: si possono ripetere le azioni, anche per migliaia di volte, di anni, ma i pensieri non ritornano mai identici. Non esiste un tramonto uguale ad un altro, l’alba di domani sarà diversa da quella di stamane: nessun bacio è mai la semplice ripetizione di uno già dato. Ci sono cose – quelle feriali, piccole, le più minuscole – che sanno ripresentarsi sempre in una forma nuova, con una fisionomia ringiovanita. E’ il tranello della bellezza che ogni settembre trattiene in grembo: non una ripetizione, bensì una rinascita. “Di nuovo” si ripresenta una storia da continuare a tessere, “di nuovo” si veste la scuola per riaccogliere una ciurma assetata di sapere, “di nuovo” si riveste la vita per accendere il desiderio d’essere vissuta. E’ il mese delle ripartenze, settembre, dei lavori che reiniziano. Si lavora per sorprendere, però, altrimenti si ripete e basta: «Se la mattina non ci disvela nuove allegrie – scrive W. Goethe – e, se per la notte non coltiviamo nessuna speranza, a che vale la pena vestirsi e spogliarsi?» Passeremo tutta la vita a ripeterci “quando sarò grande” e, appena finito di ripeterlo, inizieremo a dire “quando ero giovane”. Di nuovo, invece, la vita ci chiede d’essere guardata.
Collego settembre, dall’infanzia, allo sguardo più che al calendario. Non un problema di mensilità bensì d’oculistica: l’invito a riconoscere, nel ripetersi degli avvenimenti annuali, una bellezza che non ritorna mai uguale alla volta prima. E’ il “di nuovo” di ogni ripartenza, il vestito a festa che indossa il nonno carico di anni, il filo di trucco che ringiovanisce il volto della nonna, la brezza che scalda i pini secolari di un bosco muto. “Di nuovo”: un’altra chance, un’altra occasione.
Profuma di-nuovo la solita vita per chi sa custodire sguardi di fanciulla.
(da Il Mattino di Padova, 8 settembre 2019)