E’ una delle quattro parole scelte da Expo Milano 2015 per tratteggiare, nel miglior modo possibile, il volto del paese ospitante, l’Italia per l’appunto. Quattro parole abbinate ad arte con la parola «potenza», intesa più come vigore e possibilità piuttosto che prevaricazione e mero uso della forza. Quattro espressioni che stanno lì portentose e affabili, pronte ad accogliere il visitatore che varca l’ingresso di Palazzo Italia: «la potenza del saper fare, la potenza della bellezza, la potenza del limite, la potenza del futuro». La manualità e la magnificenza, il limite e l’avvenire, il passato e il futuro nella terra del presente.
Colpisce, ad uno sguardo fugace e magari un filo distratto, la stranezza di quella terza parola presa a prestito, il «limite». Tanto da chiedersi come sia possibile conciliare il senso del limite – della precarietà, dell’inefficienza, di ciò che non è perfetto e, dunque, limitato – con il fasto delle altre tre parole, senza farla apparire una simpatica svista ad effetto. A destare ancor più curiosità è l’abbinamento di questa parola con l’espressione «la potenza»: la potenza del limite. Basteranno pochi passi per vedere snocciolato dinanzi agli occhi la vasta profondità di quell’intuizione: ad accogliere il visitatore ci pensano ventuno storie di italiani anonimi che, dal di dentro di una situazione di limite, han saputo estrarre, armati di ingegno e di intuizione creativa, delle eccellenze capaci di convincere il mondo. La potenza del limite, dunque, intesa come possibilità creativa, come un’occasione di parto, un’opportunità favorevole per dare vita e lineamenti a qualcosa che prima non c’era. O, più semplicemente, nessuno era ancora riuscito ad immaginare. La storia stessa dell’uomo è una storia “al limite”: l’uomo è sempre in stato di parto, sopratutto l’uomo che non nasce con la proverbiale camicia cucita addosso. La sofferenza e la privazione, il vento contro e i pesci in faccia, l’iniziale incomprensione e la fatica dell’attecchimento di un’idea all’inizio appaiono sotto le vesti del limite per poi, denudati e contemplati a volto scoperto, rivestirsi di provvidenza e di venti a favore.
C’è un limite innato che il cuore dell’uomo avverte, quasi un vuoto o una malcelata nostalgia che nessuno è in grado di sopprimere. Un’inesausta ricerca di senso che le avversità non saziano ma, contrariamente, ne favoriscono la nascita o, tutt’al più, una più convinta ricerca. Una nostalgia che il poeta Mario Luzi ha descritto con sublimità d’accenti: «Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?» (M. Luzi)*. Non a caso il Meeting di Rimini – l’annuale festival dell’amicizia tra i popoli – l’ha scelto come titolo per il loro ritrovo annuale di questi giorni. L’uomo che trova il coraggio di abitare questo limite – questo suo essere limitato e, dunque, bisognoso dell’altro – sarà il medesimo uomo che saprà tratteggiare il volto migliore di se stesso. Abitare il confine è rischioso tanto quanto abitare in una terra di confine: sconfinare è correre il rischio di cambiare, di farsi cambiare. L’alternativa è la mancanza di confini: esisterebbe solo una triste omogeneità, una compattezza ch’è l’esatto contrario della varietà dell’umano. Ecco perchè il limite è una possibilità prima ancora che una ristrettezza, per taluni una angustia: è un partorire il meglio, un pungolo alla fantasia e alla creatività, uno stimolo a fare di un ostacolo un trampolino di lancio. Un’occasione di promozione dell’umano.
E’ l’uomo che sta sulla soglia di casa. La soglia è uno degli spazi più paradossali che esistano: è capace di dividere e di unire allo stesso tempo, nel breve battito di un semplice gesto. Il limite, dunque, non esiste: ad apparire è l’effetto di una scelta fatta davanti al limite. Di chi, dentro un limite, partorisce un’eccellenza; di chi, nel medesimo limite, si fa uno schizzo della bara funebre.
(da Il Mattino di Padova, 23 agosto 2015)
(*)
Di che è mancanza questa mancanza,
cuore,
che a un tratto ne
sei pieno?
di che?
Rotta la diga
t’inonda e ti sommerge
la piena della tua indigenza…
Viene,
forse viene,
da oltre te
un richiamo
che ora perché agonizzi non ascolti.
Ma c’è, ne custodisce
forza e canto
la musica perpetua ritornerà.
Sii calmo.
(Mario Luzi, da Sotto specie umana, Garzanti)