L’aereo è decollato per Seattle (USA), la macchina in direzione di Giovinazzo (BA): nel primo ha preso posto Amanda Knox, nella seconda Raffaele Sollecito, due ragazzi protagonisti di uno dei processi più mediatici e traumatici degli ultimi anni. Entrambi accusati dell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, sono stati assolti con formula piena (non per mancanza di prove) dall’accusa di omicidio. In uno stato come l’Italia in cui basta una partita di calcio per dividere la folla o una partita politica per spezzare un intero paese, era più che scontata la reazione della gente che ha urlato “vergogna” e “bastardi” a sentenza avvenuta. Eppure quei due ragazzi per la giustizia sono innocenti. Straziati dal dolore di una famiglia che ora si vede appesantita l’esistenza – perchè oltre ad aver perso una figlia non sanno nemmeno chi sia stato il colpevole – qualche annotazione in margine ci viene però spontanea.
Qualsiasi processo deve partire esclusivamente da prove e non da delle illazioni. Di fronte ad un episodio come l’assassinio di Meredith la cosa più semplice è gettare il cappio sul primo che passa e darlo in pasto alla folla che, accecata dalla rabbia, non ci pensa due volte ad arrivare da sola all’ultimo grado di una sentenza. Se ci si ferma alle illazioni per correre e per dare subito ciò che il popolo chiede (un colpevole su cui espiare la colpa) si può incorrere in errori, talvolta anche colossali, che non solo fruttano agli inquirenti colossali figure ma sopratutto complicano e a volte smantellano l’esistenza di chi magari è davvero innocente. Raffaele e Amanda sono due ragazzi ai quali sono stati tolti 1500 giorni della loro giovane vita per essere stati accusati di un qualcosa che poi s’è dimostrato errato. Chi restituirà loro la giovinezza perduta, la serenità nel loro cuore, la consapevolezza che si può ripartire? Una cicatrice rimarrà come eterna memoria di cosa significhi trovarsi un giorno nel posto sbagliato, con la persona sbagliata, nel paese sbagliato. Se la folla grida vendetta e ha sete ardente di un colpevole contro cui gettare le bave che escono dalla bocca, nessuno è autorizzato a distruggere due ragazzi per saziarne mille. Pensiamo a cosa sarebbe successo se le loro famiglie non avessero impugnato con decisione la sentenza, se non si fosse andati fino in fondo a scovare la verità: altri due ragazzi sarebbero marciti dentro le celle di una galera come tanti stanno già ingiustamente facendo.
Gli occhi di Amanda e il suo essere femminile hanno portato a parlare di questo processo come di un processo “amandocentrico” nel quale ha avuto gran peso la mediaticità data. Questa è l’Italia: il loro processo è uno dei tanti che si svolgono nelle ghigliottine innalzate nelle piazze, davanti al Campari delle osterie, nei marciapiedi dei quartieri. Uno dei tanti processi nei quali si svela il vero volto di una fetta di Italia: quello che vorrebbe decretare una sentenza e poi farla vidimare dalla Magistratura fino a dettare l’agenda di chi sbattere in galera e di chi, invece, tenere libero per le strade della nazione. Emblematiche le parole del pm Giuliano Mignini che ha coordinato dall’inizio le indagini della polizia: “E’ stata una Caporetto dell’informazione. Mai visto una tale pressione mediatica, non si può andare avanti così”. Certamente non si può andare avanti così – pur consapevoli che se la piazza si sente forte è perchè qualcuno ha dato loro la possibilità di allenarsi -: ma non si poteva neppure continuare a far marcire due giovani nel bunker di una galera quando ad essere colpevoli sono stati altri.
L’errore rettificato non cancella il dramma di una tragedia ma almeno non ha ammazzato la speranza di altri due giovani.