Spezzare le proprie catene interiori

Deserto, solitudine, preghiera, tentazione.
Ecco come troviamo Gesù, nel Vangelo di Matteo, al centro della liturgia ambrosiana, nella I Domenica di Quaresima.
Perché Gesù si trova nel deserto? La prima risposta che dà il brano, così viene da pensare di primo impatto, è “per essere tentato dal Diavolo”. È scritto a chiare lettere, dunque, perché non crederlo?
Perché avviene 40 giorni dopo l’ingresso nel deserto. Dunque, la domanda che incalza diviene: a cosa si è dedicato Gesù, nei giorni precedenti la scena descritta nel brano, in cui, con tre diversi tentativi, Satana prova a far recedere Cristo?
Da cosa? Considerando il proseguimento del Vangelo, che vede l’inizio della vita pubblica di Cristo e della predicazione, viene da pensare che Satana voglia distoglierlo da quello.
Tuttavia, se analizziamo le varie tentazioni che il Diavolo propone a Cristo, ci accorgiamo che, in realtà più che cosa, il vero discrimine sia, piuttosto, il come.

«Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane» (Mt 4,3)

La prima modalità proposta è un messianismo “sociale”: la promessa di una fede che risolva tutti i problemi del mondo. La fame, le malattie, le epidemie, la disoccupazione. Arriva Cristo e risolve ogni cosa. “Se il Vaticano vendesse le sue ricchezze, invece di navigare nell’oro, allora potrei credere a quello che dice!”. Quante volte ce lo sentiamo ripetere?

«Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”» (Mt 4,4)

Questa è la risposta di Cristo. Non basta l’utile. A volte, l’inutile è più necessario. Sono i poveri che, spesso, ci evangelizzano in questo. Come entrare in una capanna, tra i banani dell’Africa centrale e vedere che utilizzano fiori secchi come rudimentali “Arbre Magique” per garantire un buon profumo all’interno di quelle quattro pareti di frasche e di fango. Qualcuno, leggendo questo, avrà pensato, ricordando le parole di Giuda (cfr. Mc 14,4): “Quanto spreco!”. Ebbene, sì. C’è una Bellezza, che richiede spreco. Pur essendo essenziale riempire la pancia e, in alcuni casi, prioritario, affinché il cuore possa saziarsi d’altro, l’uomo non si accontenta della pancia piena. Esige altre cure. Carezze all’anima, oltre al corpo. La Parola di Dio che lo nutra della Verità, che il mondo non riesce a dargli.

La seconda tentazione potrebbe essere definita di un messianismo “spettacolare”, che, puntando su miracoli ed opere eccezionali, possa convincere chiunque guardi che Cristo è figlio di Dio. Anche noi siamo spesso presi da questa tentazione, quella, cioè, di ridurre la preghiera a una sorta di mercato di domanda e offerta, per cui, se non ottengo quello che chiedo a Dio, allora Dio non c’è. Non è questa la volontà di Dio, tanto è vero che si sprecano i riferimenti al “segreto messianico” (ad esempio, in Mc 1,44), che segue i miracoli, compiuto da Cristo. Perché Gesù ci tiene tanto a tacere i propri miracoli? Per lasciarci liberi.  Perché Dio non ha scelto di manifestarsi nella sua potenza, per spaventarci, ma nella fragilità, perché potessimo amarLo, nella libertà, ed entrare in comunione con Lui (come evidenzia Dostoevskij, nel dialogo della Leggenda del Grande Inquisitore ).

L’ultima tentazione è la più esplicita. Satana ha ormai perso la pazienza: abbandona gli stratagemmi subdoli e lascia trasparire il proprio vero obiettivo. Legare a sé la nostra volontà. Ecco perché ogni volta che cediamo al peccato, fissiamo delle catene ai nostri polsi. Il più riuscito inganno di Satana è, del resto, instillare quell’apparentemente innocente domanda, nelle nostre orecchie: “Che male c’è?”. “Che male c’è?” è, spesso, il tassello iniziale con cui iniziano le nefandezze più atroci, che, all’inizio, sembrano solo innocui passatempi. Ogni volta che questa domanda si affaccia alle nostre orecchie, dovremmo sempre avere la prontezza di capovolgerla, perché a noi il male non deve interessare, né poco né tanto, perché la nostra attenzione dovrebbe focalizzarsi sul bene, così da chiederci: “Ma che bene c’è?”. E se non ce n’è alcuno, è il caso di abbandonare una proposta che, puzzando di vuoto, lascia dietro sé un pericoloso odore di zolfo…

Perché, dunque, Cristo, si reca nel deserto? Spinto dal desiderio. Perché ha nostalgia. Del resto, l’etimologia del desiderio, indica proprio la “nostalgia delle stelle”. Che rapporto c’è, dunque, fra il deserto ed il desiderio? Il deserto ci porta a vedere la volta stellata, appagando il desiderio del nostro cuore di bellezza, che non può essere esaudito dalle distrazioni di una città sempre in movimento e piena di luci, che ci impediscono di fruire di una chiara visione del cielo notturno.
Ma il desiderio più profondo del nostro cuore è di comunione con Dio, come ben spiega l’Apostolo, nell’epistola:

In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito. (2Cor 5, 4-5)

È questa stessa nostalgia di Cielo, che ci fa desiderare qualcosa che va oltre le nostre forze e ciò che è visibile, che suggerisce che il nostro anelito più profondo sia quello di raggiungere la Patria Celeste, sede della vera Vita.

Ecco perché anche noi, come Cristo, siamo chiamati nel deserto. Siamo chiamati, come Osea chiama la propria sposa: «la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). Siamo chiamati nel deserto, perché lì siamo attesi dall’amore di Dio. Perché, solo se sappiamo fare silenzio ed allontanarci da tutte le luci, che – pur fatue – in quanto numerose, rischiano di abbagliarci e sviarci, possiamo volgerci verso Cristo, meta ed origine del nostro andare.

 


Rif. Letture festive ambrosiane, nella I Domenica di Quaresima, anno B

Fonte immagine:  Stefano Signorini

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