La lusinga d’essere tornati a vivere assieme sotto lo stesso tetto ebbe la durata d’un baleno. Siamo prossimi a Betania, terra natale di Marta e Maria. Di Lazzaro: la terra degli amori intimi del Messia nazareno. Dei sentimenti di cristallo: «Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (Gv 11,5). Betania, scenario d’affetti e di tenerezza. Del riposo dopo la spossatezza.
Li condusse in quella direzione. Poi sferrò l’agguato finale. In due tempi: «Alzate le mani, li benedisse» (liturgia della Solennità dell’Ascensione del Signore). Le mani sopra di loro: «Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge» (J. Ratzinger). Poi lo stacco, come un musico, perfetto padrone del suo pentagramma: «Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo» (Lc 24,50). Li lasciò così: storditi, imbambolati, frastornati. A far i conti con quella nuvola malandrina che ancora una volta offuscò la loro visione beatifica. Nubi e misteri: al Giordano, sul Tabor, stasera qui, appena fuori Gerusalemme.
Eccoli là, a fissare il cielo. Con il naso all’insù, mezzi dubbiosi d’esser stati abbindolati per l’ennesima volta: sedotti e abbandonati, come da un amante poco cortese. Da un amore fuggiasco: “E adesso: che facciamo? Non poteva stare con noi almeno stavolta? Perché ci ha abbandonati ancora?” Giù fino in fondo, a dar man forte alle vecchie memorie dei giorni dopo il Calvario: “Vedrete, non sarà più come una volta quando c’era lui”. Taddeo guarda Matteo: anche lui col naso all’insù. I fratelli detti “tuono” son avviliti: alla madre non riuscì uno sconto di fatica nella scalata verso il Cielo. Poi Giuda Taddeo, Giacomo di Zebedeo e Giovanni.
Pietro, il pescatore crespo e sbilenco: “Forza, rimbocchiamoci le maniche, fratelli”. E’ il parlar concreto del pescatore avvezzo alle diavolerie del mare e ai tuffi rocamboleschi dei pesci: “Fosse rimasto mai ci saremmo rimboccati le maniche”. Pietro, il capitano in tempi di crisi. Forse gli crederanno: nemmeno il canto del gallo ruppe mai la sintonia di lui col Maestro.
E se stavolta avesse ragione lui?
L’aveva detto: «Io vado a preparavi un posto» (Gv 14,2). Loro mica se lo ricordano: han poca memoria le masse d’uomini. Quel poco che capiscono è che lui prima c’era e adesso non c’è più. Che stasera, dipendesse da loro, un cadavere d’uomo sarebbe gradito oltremisura: un corpo morto almeno lo si tocca, lo si prega, lo si va a visitare. Il Rabbì, invece, non sanno più in quale pianeta sia andato a traslocare: «Non posso sostituire alla vita un linguaggio geometrico» (A. de Saint-Exupéry). Con più sincerità: non ricordano più cosa sia andato a fare altrove, malgrado i mille ripassi. Nonostante quell’invito fatto di petto e di cuore, in giorni di pieno struggimento: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,2). E’ sparito: questo han capito loro.
L’han visto scappare verso l’alto: sequestrato da una nube che lo avvolse in un batter di ciglio. Questo dicono loro. Che è giusto per metà: è andato presso il Padre. Dunque s’è ficcato per sempre dentro la storia. Non gli bastò l’incarnazione: quello era un Dio che si faceva uomo. Volle il di più: dopo la risurrezione, volle rimanere per sempre quaggiù per far esplodere la nostalgia di lassù. Avvinghiato alla terra fino a non poterlo più disgiungere da essa. Un Dio responsabile: ha aperto la strada, poi è ritornato per rifarla assieme.
Tempi addietro predicava a Cafarnao: chi teneva casa a Betfage non poteva vederlo né toccarlo. Quand’era di passaggio per Tiberiade, quelli di Nain erano troppo distanti per poter andare da Lui. Se stava con gli uni, non poteva stare con gli altri. Era uomo fino in fondo: gli riusciva una cosa alla volta. Glielo dissero: «Tutti ti cercano» (Mc 1,37). Ovunque, dappertutto, con la stessa urgenza. E lui tre giorni di qua, tre giorni di là, qualche giorno di riposo. In lungo e in largo: trent’anni a passeggiare in trenta chilometri quadrati. Di più non gli riuscì. Non volle, forse non serviva a quei tempi.
Stasera, invece, è sbrigliato. E’ il colpo finale: la Pasqua è stata sciolta. Non più “qui oggi e là domani” ma “qui e là oggi contemporaneamente”. A passeggio nello stesso istante sull’Ermon di Palestina, nelle Rocky Mountains d’America e nelle Ande peruviane. Lo vedono coricarsi su un fienile del Sud-Tirol, pescare acqua in un pozzo di Santiago del Cile, insegnare la pesca sull’isola di Toga: sincronico. Giocare a “palla avvelenata” in Honduras e fare un’immersione con i sub di Bora-Bora. L’han intercettato con un doppio passaporto: nero d’Africa e giallo d’Asia. Viaggiava in direzione di Cape Town, per poi fare rotta su verso Las Vegas. Come possono dire d’averlo visto coltivare un mandarino di Ciaciulli nella conca d’oro di Palermo quando altri giurano d’averlo visto visto, stessa ora e giorno, sorseggiare un drink all’ombra del Big Bang?
L’ha adocchiato un lebbroso che dice d’esser stato guarito da Lui. Un rachitico s’incazza e quasi si prendono a pugni in faccia, tant’è la veemenza: “Era da me a quell’ora. Sei un mentitore”. Eppur era da entrambi, per davvero. Anche a raddrizzare i gobbi d’Asia, ad assistere i parti in Norvegia, a far le fusa agli innamorati sull’isola di Zanzibar. A pescare pesci a Curacao. Ad insegnare le orazioni nella chiesa dei naufraghi. Qui, là. Dappertutto.
Ovunque: è presso il Padre, cioè dentro la storia. Dietro la lavatrice, al bancone del fruttivendolo, sul ciglio della disperazione. Seriamente dentro la storia: la mia storia e la tua. Non prima da me e poi da te. Non più prima da te e poi da me. Tutto nuovo: da tutti e due nello stesso tempo, con lo stesso trasporto. Da tutti quanti: «Luce a torrenti. Illuminate la società da sotto» (V. Hugo).
Sul Golgota, di venerdì, s’era scatenato l’inferno: terremoti, terre fumanti, luci spente. A Betania stavolta s’è scatenato il paradiso: nulla a confronto. Qui son tutti a dire “eccolo qui, eccolo là, è appena passato, sta arrivando”. Con l’accredito che nessuno sta mentendo questa volta.
Gli unici appollaiati lassù son sempre loro: i discepoli storditi. Naso all’insù. Si son mossi in due per andarli a svegliarli.
(da M. Pozza, L’agguato di Dio, San Paolo 2015)