Cercare oggi il suo nome, significa vederla definita come “la Madre Teresa di Karachi”: testimonianza irrinunciabile di quanto la piccola ed indimenticabile suora macedone abbia segnato non solo il nostro tempo, ma anche la storia della carità e dell’altruismo, a livello universale.
Negli anni ’50, Pfau studiò medicina in Germania e si imbarcò per l’India passando per Karachi, ma un problema di vista la costrinse a restare nella capitale finanziaria del Pakistan, dove ha vissuto per 57 anni e dove venne a contatto con dei malati di lebbra, morbo di cui ignorava l’esistenza.
Nel 1963 fondò il Programma nazionale di controllo della lebbra in Pakistan e il Centro Maria Adelaide della lebbra (MALC) e cinque anni dopo, grazie alla sua attività, il governo avviò un programma contro la malattia in tutto il Paese. Programma poi esteso alla tubercolosi e alla cecità.
I funerali della religiosa sono stati fissati per il 19 agosto nella cattedrale di san Patrick. Pfau ha ricevuto numerosi riconoscimenti per le sue opere ed era cittadina pakistana dal 1988. Il presidente pakistano Mamnoon Hussain ha espresso profondo dispiacere. “La nazione – ha detto – rende omaggio ai suoi sforzi sempre disinteressati”.
Il Pakistan “la ricorderà per sempre”, ha aggiunto il premier Shahid Khaqan Abbasi.
(Repubblica.it)
Ruth Pfau nacque il 9 settembre 1929, a Lipsia, in una famiglia numerosa (oltre a lei, c’erano quattro sorelle ed un fratello); durante la Seconda Guerra mondiale, la sua casa fu distrutta e, in seguito all’occupazione sovietica, la sua famiglia si rifugiò nella Germania dell’Ovest. Studiò medicina all’università di Mainz, negli anni Cinquanta ed in seguito entrò nell’ordine delle Figlie del Cuore di Maria. Ha prestato assistenza, in 157 centri, ad oltre 50 mila malati.
Rileggere oggi questi scarni dati biografici fa impallidire. Sembra tutto tanto semplice, sembra tanto simile alla biografia che potrebbe essere di un nostro parente. Eppure, la grandezza delle imprese sta proprio nel loro quotidiano dispiegarsi, tra piccole e grandi difficoltà, scegliendo, il più delle volte il necessario rispetto al banale e al facile. Difficile è persino immaginare quali siano i problemi a cui ha dovuto far fronte, in tutti questi anni, aggirandosi tra i suoi pazienti, che di lei si fidavano, tanto da chiamarla amma (mamma).
«Nessuno di noi può prevenire una guerra, ma la maggior parte di noi può alleviare le sofferenze del corpo e dell’anima» era solita dire, con la semplicità che contraddistingue le anime che sanno avvertire la presenza di Dio nel cuore degli ultimi.
Lebbra: quella malattia che tanta storia ha segnato, dai tempi di Gesù a Raoul Follerau, passando per San Francesco. Un morbo quasi del tutto debellato, alle nostre latitudini (dico quasi, perché ancora si verifica qualche caso isolato), ma che ha mietuto per secoli molte vittime, sfigurando i malcapitati e, in tante società, causandone l’emarginazione sociale. Forse, proprio quest’ultimo aspetto ha portato le anime più generose a spendersi con tanta energia, fino a diventarne gli angeli custodi, pur di non vedere queste persone discriminate solo perché malate.
«Lei ha dato nuova speranza ad innumerevoli persone e provato attraverso il suo stimato lavoro che servire l’umanità non conosce barriere» sottolinea il Primo ministro pakistano, mentre, in un comunicato, dava notizia della celebrazione di solenni funerali di stato in suo onore
(Al Jazeera).
«Ruth Pfau ha fatto sperimentare l’Amore di Cristo a persone dalle convinzioni più diverse», disse nel 2014 monsignor Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale pachistana, ringraziando la suora a nome della sua Chiesa. (Avvenire)
Queste due dimostrazioni d’affetto e stima nei confronti della dottoressa, provenienti sia dal mondo politico che da quello religioso del Pakistan, sono la prova di come sia possibile testimoniare la fede, al contempo, con concretezza e radicalità, l’appartenenza a Cristo. Persino in un posto, come il Pakistan, ove non sempre le religioni (Induismo, Islam e Cristianesimo, in particolare) convivono in modo pacifico.
La memoria ritorna al settembre 1219: Francesco, lo strano monaco che va in cerca dei lebbrosi, affascina anche il sultano Malik al Kamil, che lo ascolta volentieri, con cortesia e rispetto.
Al di là dell’ideologia della conversione a tutti i costi, dietro l’apparente sconfitta del Poverello d’Assisi, si cela la sfida di un dialogo nella libertà, che non rinunci alla radicalità. Perché solo nell’incontro vero tra due identità forti e distinte potrà esserci vero arricchimento reciproco.
Fonti:
Crediti foto:
Nabaloom Baji, Twitter
RIEPILOGO DEGLI ULTIMI ARTICOLI PUBBLICATI
In morte di Aurora: «Maestro, non t’importa che moriamo?»
In caso di emergenza, “guardatemi”: basterà.