“L’abbiamo vista a Parigi: era una bomba. Vedessi che tripudio attorno a lei, sembravano in preda ad un delirio collettivo”.
“E lei?” – ribattei mordendo il materasso e stringendo il cuscino.
“Lei… – tentennarono i miei informatori – lei faceva quello che voleva. D’altronde a chi nasce bello tutto è concesso”.
“Che rabbia!” – e scaraventai il mio corpo dall’altra parte del letto.
Dannatamente splendida e colorata. Ma anche tanto ingrata. L’ultima volta che la vidi fu a Milano: di lei mi mostrò il lato antipatico e vendicativo, supponente ed estremo. Mi piantò appena fuori dal parco e si mise a ridermi in faccia. Mi lasciò la polvere sulla lingua, nemmeno il gusto di prenderla a sberle in faccia: m’aveva prosciugato anche l’ultima energia. S’avvicinava e mi sbeffeggiava, mi sussurrava dolcissime parole e mi faceva lo sgambetto, mi diceva “ti amo” e mi sputava nelle scarpe. “Brutta donna che non sei altro” – le gridai sotto l’arsura di quell’aprile. Quello che doveva essere un week-end da sogno, si trasformò in un disgustoso fine settimana.
Eppure era bella, cavolo se non era bella. Mi asciugai le lacrime e l’affanno, mi nascosi dentro la tenda e cancellai le sue mille foto, ne bestemmiai la sua seduzione. Perchè gli amanti non si trattano così. Alto tradimento: “il matrimonio è nullo” pensai ingobbito dalla fatica nel sedile posteriore di un’auto scura che mi riportò a casa.
Mi feci aiutare e le organizzai un complotto a Padova, otto giorni dopo. Amore e rabbia, voglia di stringerla e di massacrarla, di baciarla e di esporla al pubblico ludibrio. Due inseguimenti in otto giorni: quando è troppo è troppo. Ci provai lo stesso. Mi nascosi alla partenza, m’intrufolai tra la gente, avvertii il suo profumo là in fondo ma non cedetti alla tentazione di guardarla. Per oltre due ore ho sognato: “stavolta vinco io, strega”. Ho sudato e sopportato, bevuto e sputato, mangiato polvere e rabbia. Lo striscione era là in fondo: sognavo! Mancava un ponte, l’ultimo. Poi le piazze, il rettilineo, la folla. Me la trovai lì, nascosta dietro la borraccia, a due passi dalla gloria. Mi stese a terra con uno sgambetto-crampo: si mise a ridere.
“Brutta, brutta, brutta” – le ultime parole. Poi il silenzio.
“No, sono bella e tu lo sai. Per quello posso fare ciò che voglio”.
“Enough is enough” (“quando è troppo è troppo”). Fu il mio ultimo pensiero. Tirai giù la tapparella: per me era una storia da archiviare per sempre.
“Arriva nella vita di ogni uomo un momento in cui bisogna dire che quando è troppo è troppo e per me questo momento è arrivato” – scrisse Lance Amstrong nel suo sito qualche giorno fa. Lo pensai pure io: ne ero così convinto che ne cancellai la sua malefica bellezza.
Poi un mattino m’alzai presto e andai a correre. Era come “fare la spesa”: quattro salti per scaricare la tensione dell’estate e di mille pensieri. Mi fermo alla fontana per dare ascolto alla mia sete.
“Non ti piaccio più?” – mi sento dire.
Guardo dentro la fontana e la ritrovo là accovacciata, fresca e dilaniante, fragile e intrigante, maledettamente bella.
Non l’ho degnata di risposta alcuna. Anch’io sono nato bello e faccio ciò che voglio: me l’ha insegnato lei. Però era ancora più bella: stavolta sembrava davvero la Vita stessa.
“L’abbiamo vista a Parigi: era una bomba. Vedessi che tripudio attorno a lei, sembravano in preda ad un delirio collettivo”.
“E lei?” – ribattei mordendo il materasso e stringendo il cuscino.
“Lei… – tentennarono i miei informatori – lei faceva quello che voleva. D’altronde a chi nasce bello tutto è concesso”.
“Che rabbia!”. Scesi dal letto. E cominciai a correrle dietro di nuovo.
E lei, splendidamente solitaria, mi fece l’occhiolino.
Basta poco, a volte, per riaccendere l’amore. Le ho dato un’altra chance: “ultima volta, mettitelo bene in testa”.
Lei mi sorrise: “so che non verrai a fare la spesa. Ti aspetto, veloce”.
Quando è troppo è troppo. Troppo bella per non provarci ancora!