L’ho sentito un po’ triste stamattina il mio Peppone: d’altronde lui lo sa che non possiamo rimanere tanto separati. Eppure so per certo che domenica mattina ci basterà un pensiero reciproco per rimetterci in sintonia: lui dalle parti della Porta di Brandeburgo (Maratona di Berlino) io su quella costa di spiaggia che sta a San Benedetto del Tronto. Perchè per noi correre è un po’ come vivere: ce la mettiamo tutta, anche se i nostri impegni ogni tanto mettono alla prova la forza della passione che c’inabita. In quest’ultima settimana gli allenamenti (faticosissimi a causa dell’afa e di un po’ di stanchezza fisica – ma rispettosi della tabella di marcia) m’hanno permesso anche di incontrare oltre tremila ragazzi nelle scuole del Nord Italia: per la maggior parte sono asini, ma io sto scoprendo che hanno delle matite colorate in tasca. Cioè hanno la capacità di sorprendere chi pensa di conoscerli a menadito. Li ho visti ridere e piangere, sfottere e provocare, riflettere e stringere mani, chiedere di Camillo e della salute di Peppone: la notte, incrociando in sogno i loro sguardi, ho fatto una riflessione. Che i km di strada percorsi m’hanno confermato e che condivido con voi. Perchè correndo tengo accesa la testa.

A chi frequenta e s’appassiona di esistenze giovani, non è estranea la netta differenza di vocabolario che intercorre tra chi pratica sport e chi fa del bullismo il passatempo preferito. Il vocabolario del bullo ha un campo semantico ristretto e monocolore: compagnia, vasca, muretto, forza, violenza, appartenenza, minaccia, ricatto, spionaggio. Parole che raccontano l’oscurità, il grigiore, la stanchezza, la paura di perdere il controllo della situazione. Il vocabolario dell’atleta, dal canto suo, tiene parole giovani e colorate: passione, sacrificio, caparbietà, sudore, gloria, conquista, addestramento, travaglio, inseguimento, emozione, lacrime, sorrisi, abbracci. Parole che raccontano di un dinamismo interiore, di un’attrazione appassionata, di un bersaglio individuato. Capacità di sopportare lunghi allenamenti, ripetuti passaggi, faticosi sacrifici. Cassius Clay, l’ex pugile americano oro olimpico a Roma 1960, annotò nel suo diario: «Ho odiato ogni minuto d’allenamento ma mi dicevo: non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita da campione». La sofferenza, il silenzio di Dio, la fatica della storia, le notti oscure della fede, il travaglio interiore dei santi, il combattimento spirituale possono essere la traduzione di fede della melodia agonistica: è il sogno dell’Eterno e dell’incontro con Dio che fa leggere nelle loro trame l’occasione di una purificazione necessaria per allenarsi alla trascendenza.
La sofferenza, la sopportazione della fatica, il senso dell’ignoto che attira e rende meno certi della vittoria. E’ la bella lezione dello sport che, quando rimane tale, è capace di forgiare il carattere, tenere equilibrata la mente, allenare la vita a non mollare la presa. Non è un caso che tante volte si paragoni l’esistenza ad una corsa da affrontare, la vita ad una maratona. Poche volte viene chiesta la brillantezza di un centometrista, il più delle volte serve la costanza e il fiuto di un maratoneta. Che dosa lo sforzo, programma con intelligenza la gara, dosa le energie; che sa quando scattare, aumentare il passo, recuperare. Attento a non lasciarsi scappare l’attimo che fa di un ritmo magari sonnolento la velocità giusta per la vittoria.
Ecco perchè sabato sera la Piazza di San Benedetto del Tronto (AP, ore 19.00) si trasformerà in una cattedrale a cielo aperto: una messa al ritmo di rock cristiano (grazie ad un gruppo di ragazzi incontrati sulla strada) per affinare l’anima e ordinare il cuore. Perchè domenica sia un’avventura di grande sport ma anche di fede e umanità. Pregheremo – in “comunione di spirito” come dice la teologia della mia nonna – anche con Peppone e la bella truppa della Gazzetta Runners che a quell’ora se ne staranno rintanati nella Berlino dei Record Mondiali. E’ questo il bello di una parrocchia che – come ha scritto meravigliosamente nella Gazzetta l’amica Lucilla Andreucci – si sta formando giorno dopo giorno abitando la strada. Quale migliore occasione per mostrare anche il lato felice e “in-forma” di una chiesa giovane?
All’Ascoli – San Benedetto c’arrivo con 500 km d’allenamento nei muscoli (sono quasi a metà della preparazione): se arriverò un solo secondo prima dello scoccare del 134° minuto di gara vorrà dire che il ritmo maratona (4’/km) sta sedimentandosi. Se fallirò porterò a casa con me l’occasione più bella per rimotivarmi a lavorare ancora meglio. Poi a fine ottobre (24 ottobre) a Fidenza accetterò la sfida, Peppone: te la sei calcolata bene, hai fatto i tuoi interessi e io ho taciuto. Ma se sarà una sfida persa, preparati: perchè il pegno questa volta potrebbe essere altamente creativo (saremo alla vigilia della nostra partenza).

D’altronde, Camillo e Peppone devono guerreggiare per continuare a vivere!

 

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Un grazie immenso ai miei amici della Società Sportiva Porto85 di Ascoli (conosciuti durante la messa al Villaggio Maratona di Roma 2010) che mi hanno dato le condizioni ideali per poter pregare, correre e mangiare in perfetta amicizia e cordialità. Grazie sopratutto a Roberto, il capo, e a Manrico e sua moglie che mi hanno aperto le porte di casa loro. Penso che il mondo sarebbe meraviglioso se i cuori fossero sempre così colorati. Eppure ci sono: e per questo vale la pena di continuare a sperare. Contro tutto e tutti!

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