La parola “sinodo” profuma di strada e di alleanze. E’ un miscuglio di piedi, di mani e sguardi cuciti assieme. E’ una preposizione di possente compagnia – “syn/assieme” – data come sposa ad un sostantivo di viaggio: “odòs/strada”. Un pezzo di strada percorso assieme, sudato assieme, perché desiderato assieme. Anche la scoperta di un cambiamento avvenuto sotto gli occhi dei camminatori: «Il camminare – scrisse Italo Calvino – presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi». E’ stata parola chiave, sinodo, di un intero anno di riflessione nella nostra Chiesa, una delle più organizzate degli ultimi decenni. Un’intuizione firmata dal vescovo Claudio nella scenografia della GMG di Cracovia, ma anche figlia-primogenita di un’intuizione di Papa Francesco, una di quelle che fanno ribollire e innervosire lo status-quo di un certo cristianesimo: «Ricordiamo – scrive nella Evangelii Gaudium – che non bisogna mai rispondere a domande che nessuno si pone». Possono essere anche intelligentissime le risposte, ma se non trovano appoggio nel greto di una domanda rischiano di non mettere mai radici: di non essere condivise. E’ stato il punto chiave di tutta quest’immane riflessione, diocesana e universale: “Qual è l’immagine di Chiesa che il giovane sente ardere nel cuore?” Ammettere, forse, che nessuna immagine arda più nel petto, anche questa è risposta. Un rilancio: “Come riaccendere quel punto infiammato che si è andato spegnendo?”
Di tutta quest’avventura, nessuno degli addetti ai lavori potrebbe anche solo azzardare di anticipare cosa cambierà nella nostra Chiesa. Forse non cambierà nulla: è questa la risposta più rassicurante. Anche la più onesta di aspettative. Il vero guadagno, infatti, è stato il metodo usato. Non importava tanto il traguardo, ma forse ciò che ha animato l’ispirazione è stato il modo col quale camminare in strada: assieme, in ascolto dei giovani, provocati da quella rabbia appassionata di chi, scrutando la sua Chiesa, anche s’arrabbia perchè la vorrebbe più santa, più bella, senza tutte quelle smagliature nel fisico che ci rendono vergognosi di fare quattro-passi assieme con lei per le strade della città. «Il Sinodo – si legge nel sito di questa gigantesca operazione di riflessione – non è l’ennesimo parlar dei giovani ma è un lasciar parlare i giovani della Chiesa. Perché hanno tanto da dire». A colpire è quel finale: “Hanno tanto da dire”. Dentro quell’aggettivo c’è nascosto, forse, il tutto della giovinezza: desideri, preoccupazioni, batticuori, ansie e tremori. Fiacchezza nel sentirsi giovani e vedersi appioppata addosso la stupida conclusione di chi, poco allenato ai misteri di Dio, crea scorciatoie: “E’ la generazione di quelli che dicono: Cristo sì, Chiesa no!” Sbagliano, lor signori: è tutta un’altra cosa che questi giovani – più di cinquemila, più di un piccolo paese – vanno dicendo: “Cristo sì, con la sua Chiesa”. Che è tutto il contrario, una rivoluzione e nello stesso tempo una rivelazione: “Noi, nella Chiesa, ci stiamo. Ma vogliano starci da protagonisti, firmando questa nostra appartenenza”. Ogni ora perduta durante la giovinezza è una possibilità di infelicità per l’avvenire: è il prezzo, nella Chiesa, che tantissime anime giovani non vogliono più pagare.
Oggi questi giovani consegneranno al loro Vescovo la trama finale della loro riflessione: saranno parole che avranno addosso il tocco delle incursioni più che il calcestruzzo dei dogmi, il rintocco di un’eco più che il megafono di un avviso. Tacchi a spillo piuttosto che stivali da lavoro: è il volto della sorpresa cristiana, quella in perpetuo stato d’aggiorno. Sarà la loro risposta alla voglia pazza, nella Chiesa, di firmare dogmi: l’ossessione del dogma – il giovane, per natura, non è stupido – è l’identità di chi è insicuro dell’amore. Chi non lo è, indossa i panni dell’avventuriero, dell’esploratore. Sposa il gusto del domandare: ecco perché non c’è ansia da prestazione. Il vero guadagno è già sotto gli occhi di chi vuol vedere: aver aperto una strada. Nessuna voglia di conquistare chissà che terra.
(da Il Mattino di Padova, 20 maggio 2018)