La sollecitudine di Gesù
Forse questo potrebbe essere il titolo che accompagna il brano evangelico matteano (Mt 14, 13b-21).
Il suo inizio suggerisce la ricerca di comunione col Padre, in luogo deserto1. Quest’esigenza emerge, spesso, dal Vangelo. Ma non stupisce: un rabbi, un asceta ci si aspetta possa coltivare un lato mistico. A colpire, è piuttosto la “compassione”2: quella che porta Cristo a cambiare programma. Sì, perché si lascia interrogare, scompigliare, portare fuori dai binari dalla realtà che incrocia la sua giornata. Malati e infermi che sono portati a lui, con fiducia e con speranza.
Una sorta di “riunione fuori programma”
Il risultato finale, però, è pittoresco e suggestivo. Malato dopo malato, speranza dopo speranza, le persone vanno accumulandosi, in quelle che, fino a poco prima, altro non era se non un“luogo isolato”3 e adatto al raccoglimento della preghiera.
Non può che venirmi in mente l’allegro caos che segue i tentativi di pregare in famiglia, in particolare se ci sono diversi figli piccoli… lo vedo l’imbarazzo nei sorrisi delle mamme e dei bambini, che, con gli occhi, passano il tempo a scusarsi anche solo per la propria presenza. Vi sono, poi, famiglie, in cui l’orologio sembra non andare avanti mai: un figlio autistico o con problemi di autocontrollo, spesso, non riesce ad avere grandi miglioramenti, nel corso del tempo e per chi con lui vive, spesso, equivale a vivere in una sorta di imbarazzo preventivo qualunque situazione sociale in cui è coinvolto.
Niente di cui scusarsi
Probabilmente, anche quell’accozzaglia mal assortita di umanità piena di domande e di speranza, riunita involontariamente da Gesù, doveva essere piuttosto scalcagnata: lontana dalla perfezione di una processione ordinata e composta, gli sguardi speranzosi dei bambini e quelli disillusi degli anziani si saranno frammisti a quelli di giovani uomini e donne coi sogni ancora intatti e la forza per renderli reali.
Talvolta, l’imbarazzo sovrasta queste improvvisate commistioni d’umanità: il Cristo, però, suggerisce che non c’è nulla di cui scusarsi. Nella fatica di trovare silenzio nel caos, anche il figlio dell’uomo accoglie il fuori programma come un’opportunità che lo Spirito largisce
“Dentro”, e “fuori”
La prospettiva negativa del “fuori”, abbiamo visto, per Cristo, non equivale al fuori programma che pare, invece, essere accolto, con un sorriso compiaciuto. Emerge, invece, proprio dalle parole dei discepoli: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”4. Sembra un’osservazione tanto pertinente e sagace. Eppure, agli occhi di Cristo, sembra terribilmente fuori luogo. Denota l’incapacità di capire la situazione, di sintonizzarsi correttamente con essa.
La loro fame è anche nostra
«Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14, 16)
Difficile trovare frase più polisemica e capace di far arrovellare teologi ed esegeti, nell’intera, quadriforme, opera evangelica. Ai discepoli è chiesto di muoversi in prima persona, per trovare da mangiare per la moltitudine, oppure, con un riferimento più diretto e profondo all’Eucaristia, metaforicamente, è chiesto ai discepoli di dare se stessi in libagione?
Nell’incertezza, sicuramente, il suggerimento che non può essere ignorato (e, infatti, è seguito) dai discepoli è che “la loro fame sia anche nostra”. Con un corollario: se non la sentiamo, allora il problema è nostro ed è serio. Proviamoci di nuovo, proviamoci ancora. A trovare una soluzione in cui noi e loro siamo assieme e non contrapposti, com’è più comodo: giusto per evitare il fastidio e il coinvolgimento. Perché il coinvolgimento, si sa, è già di per sé un fastidio.
Troppo poco?
«Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!»5
Questo il risultato del sondaggio, redatto a tempo di record dai discepoli. Valutazione: scarso. Inevitabilmente, se il computo dei presenti dice cinquemila (senza contare donne e bambini – che senz’altro non saranno stati pochi, ma si presume influissero dimeno sulla quantità di cibo)6. I discepoli sono sconcertati, come anche noi, spesso, lo siamo, quando la realtà ci soverchia e ci sentiamo piccoli.
Questo finale ci dà una speranza. Il poco, quando è tutto, è sempre abbastanza. Perché, quando è posto nelle mani di Dio con fiducia, la sua grazia completerà (con abbondanza, visto l’avanzo di ben dodici ceste!7) la nostra ingenua generosità.
1 Mt 14, 13
2 Mt 14, 14
3 Mt 14, 15
4 idem
5 Mt 14, 17
6 Mt 14, 21
7 idem
Fonte immagine: Blogspot
Rif. Vangelo festivo ambrosiano, nella III domenica dopo l’Epifania, anno B
VANGELO Mt 14, 13b-21
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo
In quel tempo. Il Signore Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
2 risposte
Tutto è fuori luogo rispetto alla stasi, al disinteressarsi.
E poi: I care! Mi interessa, mi interessi.
E tutto allora utto concorre a riconoscere l’uniso posto veritiero in cui viviamo e cioè un Noi, Fratelli, che è stato del vivere insieme dentro un abbraccio che ci coinvolge nello stesso anelito che ci trasforma il slancio per un idem.