Se tutti avessero quattro mele ciascuno
se tutti fossero forti come cavalli
se tutti fossero ugualmente inermi in amore
se ognuno avesse le stesse cose
nessuno sarebbe utile a nessuno
Grazie perché la Tua giustizia è ineguaglianza
quello che ho e quello che non ho
persino quello che non ho a chi dare
è sempre utile a qualcuno
è notte perché poi sia giorno
buio perché splenda una stella
c’è l’ultimo incontro e la prima separazione
preghiamo perché altri non pregano
crediamo perché altri non credono
moriamo per coloro che non vogliono morire
amiamo perché ad altri si è raffreddato il cuore
una lettera avvicina perché un’altra allontana
gli ineguali hanno bisogno gli uni degli altri
è più facile per loro capire che ognuno è per tutti
e cogliere l’insieme.Jan Twardowski
Prima dell’umile ingresso di Cristo nel mondo, molti avevano detto: «Vendi tutto ciò che possiedi», ma solo Lui aggiunse: «E poi seguimi». Cristo, il Dio-con-noi, si fa sempre uno-di-noi: certe volte col suo parlare velato, certe altre con sguardi eloquenti; sovente il parlare in parabole gli é più congeniale per illuminare i buoni e ammutolire i farisei. Tutto il mistero di Dio perderebbe il suo fascino se non fosse enunciato attraverso esempi e strumenti di vita quotidiana che, chi ha orecchi, possa intendere meglio attraverso cose che maneggia o che conosce, e scorgervi lì la metafora della propria vita: i chicchi di grano, le reti da pesca, una moneta perduta, i tralci, le viti…. Una storia, talvolta, convince più del nudo precetto: per chi ha voglia di capirne di più e di servire il “padrone”, anche un amministratore ingiusto ma scaltro può tornare utile. Quel che è sul trono viene rovesciato, Colui che é ricco si fa povero, quel che pare disonesto viene lodato: ciò che il mondo chiama giustizia, Dio lo ha chiamato Misericordia, ciò che Egli ha creato come spirito lo ha posto, poi, dentro ad un corpo. É impossibile, dunque, essere misericordiosi come il Padre- Signore del cielo e della terra, Padrone perché Creatore di ogni cosa (cfr. 1 Cr, 29)- senza includere “le cose” nella relazione con Lui e con i fratelli. L’uso delle cose ha il potere di procurarci amici o nemici e stabilisce solennemente, giá nell’aldiqua, la nostra destinazione ultima nell’aldilà. Un amministratore ingiusto ci insegna ciò che Cristo ci insegnò anzitempo quando, venendo al mondo, scelse la sua culla in una grotta di pastori: nessuno ha il diritto di possedere ricchezze se prima non impara a vivere distaccato da esse. La condanna non é per mammona, ma per chi se ne scopre schiavo.
«Che cosa farò?», rendersi conto dovendo rendere conto. La scaltrezza per le cose di ordinaria amministrazione può diventare straordinaria sapienza per le cose di Dio: il dis-onesto diventa con-dono. Tra la pretesa e l’attesa, velocemente si insinua la resa: “non negare un bene a chi ne ha il diritto se hai la possibilità di farlo” (cfr. Pr 3, 27). «Ora so che farò!»: l’amministratore rimette i debiti nel tentativo goffo, seppur lodevole, di emulare il suo Signore –Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Anche nella ricchezza disonesta può succedere che la proposta evangelica dell’amore s’innesti diventando stile di vita: il condono diventa dono e chi dona al povero fa un prestito a Dio (cfr. Pr 19, 17). «É l’enunciazione della meravigliosa dottrina del distacco, per mezzo della quale gli uomini si liberano dalla passione della ricchezza per la gloria di Dio e per la salvezza dell’anima, anche se tutto il loro avere é costituito dalla loro volontà, da una barca da pesca e da poche reti» (F. Sheen). In conformità alla legge del distacco, il povero é colui che possiede tutto perché non desidera nulla, e colui che povero diventa, non é tale per aver donato le sue ricchezze, ma per averle barattate con gli infiniti tesori del Cielo. Facendoci amici non del denaro ma col denaro, entrare nel Regno dei Cieli sarà più facile che far passare un cammello per la cruna di un ago.