Per troppo tempo ci siamo fidati dei proverbi: perché un proverbio è tanta-roba concentrata in poche parole. “Lo dice il proverbio” è la frase con la quale siamo soliti chiudere faccende complicate, giustificare dei fatti accaduti, tentare di consolare l’anima dopo una sventura: «I proverbi sono la maniera di pensare dello stomaco, con i proverbi lo stomaco fabbrica delle briglie per l’anima, per poterla governare più facilmente» (M. Gorkij). I proverbi, però, hanno bisogno della vita per venire illustrati, per essere creduti affidabili. In caso contrario, la sapienza popolare ci ha tirati dentro un tranello. Anche perché, molto spesso, la saggezza dei proverbi sta proprio nel contraddirsi: è brutto tempo anche se ieri sera il cielo era rosso, donne e buoi anche da paesi non-tuoi sono stati buoni, è bastata una rondine per fare primavera. I proverbi, come le previsioni del tempo: sarà bello se non pioverà, saremo ricchi se risparmieremo, andremo in vacanza se avremo i soldi. C’è un proverbio che, sin dall’infanzia, mi ha sempre causato fastidiose allergie verso coloro che, noncuranti, lo vendevano come inedito-evangelico. Suona più o meno così, a seconda di dove lo si declama: “Non si muove foglia che Dio non voglia”. Quando lo sentivo – quando lo sento, purtroppo – c’è un che d’insopportabile che mi rattrista l’anima: tutto ciò che accade, dice l’uomo del proverbio, è volere di Dio. Annoto su un quaderno ciò che è accaduto in questi ultimi giorni: un bambino è morto a causa del morbillo, un lunghissimo elenco di nomi-e-cognomi sono stati estratti dalla torre infuocata di Londra, un papà ha perduto il lavoro decretando finita la sua vita, sessanta uomini sono stati forati coi proiettili in uno sperduto paese dell’Africa. Dopo aver annotato, rileggo. Dopo aver riletto la lista della spesa-del-male, mi ripeto ad alta voce il proverbio: “Non si muove foglia che Dio non voglia”.
Un Dio siffatto, è un Dio che non merita ascolto. Men che meno fiducia, figurarsi l’adorazione.
Eppure, Vangelo alla mano, il proverbio pare esatto: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri». Terribile: è Dio che fa cadere i passeri, affonda i barconi, tarpa le ali al bambino, frantuma la speranza di un papà. C’è chi lo pensa davvero, in nome del proverbio: anche Dio, dunque, deve sottostare alla logica popolare. Il Vangelo, però, non dipinge quest’immagine di Dio. Il Dio dei vangeli è un Dio-dei-dettagli – capelli, passeri, lievito, senape, gigli, rondini -, dell’infinitamente piccolo, della fanciullezza salita al potere. Il Dio della libertà-liberante: “Forse che anche voi volete andare dietro altri dei? Fate pure: liberi d’andare, di tornare, di ritornare”. Non c’è gioia senza la più piena libertà. Ecco, allora, che la traduzione ci ha fregati: non tanto “nulla accade senza il volere del Padre vostro” quanto, piuttosto, “nulla accade senza che Dio ne sia coinvolto fino all’osso”. Che, a leggerla così, è esattamente il contrario: è un Dio che piange i passeri caduti, i barconi affondati, i bambini che se ne vanno presto. Un Dio coinvolto, coinvolgente, dentro fino-alla-gola alle più piccole faccende dell’umano. Un Dio che all’uomo va dicendo: “Tutto ciò che ti accade – siccome accadendo a te accade in contemporanea a me -, t’assicuro che non andrà perduto”. Quant’è terribile il primo-Dio (che mica è il Dio di Dio) e quant’è tenero il secondo-Dio, quello ch’è veramente Dio: non nasconde affatto la miseria della storia, ma dentro la miseria fa delle sue mani il nido per la storia dell’uomo. “Cadrai – dice Dio -: quando cadrai, ricorda sempre che userò le mie mani come nido. Cadrai nelle mie mani e nulla, di te, sarà perduto”.
“Si muove foglia che Dio non voglia” è il proverbio corretto dai Vangeli. Ciò che essi aggiungono – ed era difficile da immaginare – è che le foglie cadranno in mano di Dio, pur non avendo affatto desiderato cadessero. Dio-vibrante: «Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce e quello che voi ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze». Sempre lo griderò: alla-faccia-di, in-barba-a, alla-luce-del-sole. Dalla terrazza. Il mio nuovo nome è: valgo-più-di.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Matteo 10,26-33).
Avviso parrocchiale
Vi aspetto, per chi vorrà, sabato alle 17.30 su RaiUno con Le ragioni della speranza.
In questa settima puntata del nostro ciclo commenteremo il Vangelo della domenica da Casa Madre Teresa di Calcutta (PD), una realtà della carità della diocesi di Padova che si occupa dei malati di Alzheimer. Recuperare la propria storia, per certune persone, è ritrovare memoria e speranza. Nel nome della carità che salva.