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Da qualche giorno c’è un’immagine che girovaga in modo virale sui social network. Rappresenta, tra il serio ed il faceto, la diversa percezione del tempo tra un bambino ed un adulto. Un anno, visto dal piccolo come una serie di opportunità – neve d’inverno, giochi d’estate, amici da rivedere a scuola e letterina di Natale da spedire – mentre con gli occhi di un grande tutto sembra appiattito in una monotona routine scandita solo dai cambiamenti climatici delle stagioni, peraltro non sempre graditi.

Le prese di posizione non sono tardate ad arrivare. Sono intervenuti adulti fieri di sentirsi tali, coloro che avrebbero voluto amaramente sentirsi bambini ed infine hanno detto la loro anche quei grandi che hanno proclamato orgogliosamente la loro visione del mondo a misura di piccoli. I toni accesi ed accorati hanno dato a molti partecipanti la sensazione che quel grafico, nato nel giocoso tentativo di non prendersi troppo sul serio, per alcuni sia stato l’equivalente di un fulmine a ciel sereno, quasi un’offesa al loro essere cresciuti.
Strano, perché duemila anni fa un Rabbi venuto da Nazareth aveva già scombinato le carte in tavola a tutto il mondo degli adulti.
“Se non diventerete come bambini…”
Agli uditori del tempo si dev’essere fermato il respiro. Un Maestro che insegnava con autorità inaudita non poteva fermarsi tra la folla per prendere ad esempio quelle piccole vite, benedizione del Cielo, sì, ma quasi mai di rilevante importanza nelle questioni più spicce. Loro, i grandi, avranno guardato ai propri figli con un misto di ansia ed apprensione: quegli adulti in miniatura, che dovevano solo crescere per poter finalmente diventare aiuto attivo e veri israeliti, ora d’improvviso diventavano unità di misura per l’entrata nel Regno dei Cieli, di fatto surclassando ogni persona matura. Un boccone non facile da digerire. Non è difficile immaginare la scena, i grandi ammutoliti, i bambini intenti a tirare i genitori per la veste ed un Uomo in mezzo ad essi che ancora una volta rovesciava ogni impostazione di senso comune. Avrebbe continuato a farlo fino all’ultimo istante, stendendo le braccia sul legno di una croce, divenendo l’esatto contrario di ogni proiezione umana della divinità invincibile.
D’altronde avrebbero dovuto immaginarselo: un Dio che sceglie di farsi bambino non poteva che avere a cuore quello stadio della vita quasi mai preso in seria considerazione, se non in questi ultimi secoli. Lo stupore degli adulti all’ascolto di Gesù non dovette essere troppo diverso da quello di Iesse, che si vide l’ultimo nato essere unto re d’Israele dal profeta Samuele.
È l’hobby preferito di Dio, fare nuove tutte le cose, a cominciare dal modo di pensare. Non regole da imparare, non comandamenti da mettere in pratica in modo automatico e sterile, bensì un atteggiamento che coinvolge tutta la persona, mente e cuore. E lo scorrere del tempo per i bambini è proprio così, un connubio di pensieri ed azioni in cui non esiste monotonia ma ogni attimo è un traguardo da raggiungere.
Dotati della più pura capacità di meravigliarsi, i bambini sono sempre stati definiti filosofi per natura, pronti ogni attimo a porsi nuove domande, ad osservare il mondo con spirito mai sazio di nuovi obiettivi.
Forse a causa del mio lavoro, a stretto contatto con i bambini e con i loro ritmi di apprendimento, mi riesce piacevolmente semplice mettermi nella visione del tempo a misura di piccoli, seppur con qualche minima differenza che però non intacca il dato effettivo.
O forse è solamente questione di carattere e di ricerca di motivazioni personali, chissà. Entrambe fanno spesso sì che ogni tempo vissuto non sia fine a se stesso, ma sempre con un piccolo obiettivo da realizzare o un momento di positività da trovare. È un po’ come il famigerato “effetto Pollyanna”, che prova a cercare il buono anche quando in apparenza non sembra essercene, perché altrimenti tutto sarebbe perduto, ogni speranza diverrebbe vana. È la consapevolezza che anche nell’istante più particolare si può cambiare la propria visione di ciò che ci circonda e non c’è niente di più incredibilmente particolare del modo di osservare di un bambino.
“Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse.[…] E’ proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva.”
Per vedere le cose a misura di bambino bisogna fare ben più che salire su una cattedra, come avviene nel film L’attimo fuggente. È necessaria una vera e propria scalata, che lascia alle pendici del monte ogni inutile zavorra. Farsi piccoli non significa mantenere la vista rasoterra, ma alzarsi in punta di piedi per contemplare ogni orizzonte con rinnovato stupore.
L’inverno freddo di gennaio e febbraio è ottimo per una cioccolata calda e per quella morbida sciarpa di lana confezionata a mano da una parente abile con il lavoro a maglia. La primavera – fiori, uccellini… e, ahimé, allergie! – è la rinascita della luce, del primo vestito leggero dopo l’inverno, del primo gelato…
Ogni minuto dello scorrere del tempo, se abbiamo la voglia di metterci a cercare, è un momento in cui viviamo il tempo anziché lasciarci vivere da esso. Non è una ricerca in stile caccia al tesoro, non servono mappe, né tantomeno abili doti da investigatore privato. È sufficiente imparare ad apprezzare ciò che ci piace, crearci dei piccoli traguardi che ci facciano vivere la vita non come una routine monotona e spesso frenetica, ma piuttosto come un levare le vele ed affrontare il mare aperto in direzione di un porto che sappiamo esserci da qualche parte.
Proprio come i bambini, che sono soliti avvisarmi con molto anticipo di qualsiasi evento per loro importante. “Maestra, tra due mesi è il mio compleanno, sto imparando meglio il corsivo così scrivo bene tutti gli inviti per i miei amici”. Ecco che allora i due mesi si tramutano in un cammino in cui il tempo scorre non come un nemico, ma come un compagno di viaggio che ti incita a fare del tuo meglio.
I problemi non spariranno come per magia, le bollette non smetteranno di perseguitarci e l’aspirapolvere di casa non si animerà per fare il lavoro al posto nostro. Alzarsi in punta di piedi, a misura di piccoli, non significa rinunciare alle problematiche della vita da adulti.
È piuttosto un cambiare la prospettiva, un regalo di senso che possiamo – o dobbiamo? – fare a noi stessi.
Accontentarsi di briciole di felicità, dunque?
No, tramutarle in coriandoli.
Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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