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Ascensione è uno sguardo al cielo. Istupidito, trasognato, trasecolante. Nel frattempo, la mente annaspa, inebetita, e il cuore è in subbuglio. Dire stupito è ancora dire poco.
La piccola ciurma di discepoli, dapprima impaurita, è ora come frastornata. Come incapace di contenere-il-tutto.
Non è la prima volta: leggendo il Vangelo, anzi, sembra quasi un leit-motiv: Cristo confida in quella compagine sgangherata molto più di quanto, dietro a un pizzico di saccenza ed arroganza, realmente essa confidi in se stessa. E sicuramente, noi ci rivediamo in lei. Sappiamo che, dietro alla nostra ribalderia, spesso ci sono tante paure, prima fra tutte quella di fallire.
Siamo un po’ come bambini, che stanno imparando a camminare. I primi passi li hanno galvanizzati. Si sono resi conto che possono evitare di stare in braccio a mamma e papà e, anche se ancora non è una conquista assoluta, un piede avanti all’altro, per qualche istante, è un’azione ormai possibile. Eppure… eppure, dopo il secondo passo, lo sguardo si volge indietro: a quelle mani che hanno stretto le nostre piccole mani, per regalarci quell’equilibrio non ancora conquistato, a quel viso, radioso, che ancora ci incoraggia, anche se si macera dentro. Forse, vorrebbe venirci incontro, allungare di nuovo quelle mani. Invece, con nostro grande disappunto, lo vediamo ritirarsi, con qualche passo indietro. Forse, lo sconforto ci coglie, per un momento: com’è possibile che proprio che lui che ci ha regalato fiducia a piene mani, incoraggiato, sorretto, nutrito fino a quel momento ci neghi il suo aiuto? Alziamo lo sguardo. Sul volto, campeggia un sorriso, incoraggiante. Non abbiamo bisogno di altro. Non è un vero rifiuto, come temevamo. È solo un gesto d’amore, di cui non comprendiamo immediatamente il senso. Allora, procediamo e facciamo un altro passo, in avanti.

Forse, non ricordiamo più questa scena, ma probabilmente, è qualcosa che abbiamo passato quasi tutti, se non per imparare a camminare, in ogni caso per padroneggiare un’abilità che, poi, è diventata veramente nostra.

Cosa seguirà a quel passo avanti? Un capitombolo sul… morbido del pannolino, oppure una lunga marcia trionfale, di un passo di seguito all’altro, preludio di una futura corsa?

In realtà, non è così importante. C’è chi impara prima e chi dopo. I tempi d’apprendimento sono personali e non cedibili, come i biglietti del treno. Quello che conta, però, è trovare chi, come Dio, sa essere pronto ad intervenire, lasciandoci la serenità anche di sbagliare. Perché non è sempre possibile azzeccare tutto al primo colpo. Ma, se andiamo sempre in braccio, non potremo mai diventare figli felici e fecondi, pronti a condividere la gioia del Risorto con il mondo intero.

Ecco perché altrettanto importante di sapere che c’è una mano pronta per noi è renderci conto che quella mano sia abbastanza lontana da non impedirci di imparare a camminare, in libertà.
La fede è un cammino, graduale, ma che, se vissuto nella condivisione, diventa ancora più proficuo. Detta così sembra magari un po’ un’astrazione, che rischia di essere distante dal nostro vissuto quotidiano. Forse un esempio, molto semplice, può rendere conto di cosa significhi. Durante la Messa, subito dopo essersi comunicato, un papà ha fatto un segno di croce sulla fronte del figlio, che portava con sé. Il figlio era grandicello, ma non a sufficienza da poter fare la Comunione. Un gesto, semplice in apparenza, ha reso partecipe il figlio del Sacramento: ha fatto sì che l’incontro fosse “allargato” anche a lui, quasi nutrimento dell’attesa di poter essere partecipe di qualcosa cui, in effetti, è destinato anche lui!

Desiderio, attesa, coraggio, libertà: è così che siamo chiamati a vivere la nostra vita, sulla scia del Risorto!

 

Fonte immagine: Pexels

 

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