… ben più di un segno positivo!
Solo all’affacciarsi della parola “preghiera”, istintivo, fa capolino il luogo comune del dire, del chiedere: riduttiva definizione che, a stento, le si potrebbe addire.
“Non so cosa dire” è spesso la risposta a chi chiede il motivo per cui “non prega più”.
E allora, forse è meglio fare un po’ di chiarezza, allargare gli orizzonti e consentire di allargare il respiro a questa parola dimenticata, oltraggiata o, semplicemente, sminuita.
In realtà, sono molte le preghiere possibili. Quella liturgica, che non è solo quella domenicale, ma anche quella comunitaria. Quella orale. Ma non ci sono solo queste. Ci sono preghiere silenziose, altre di lacrime e sospiri, oppure, ancora, di sguardi, di colori, di disegni, di danza. E poi, c’è la preghiera della vita. Forse, è solo questione di dare fiducia allo Spirito Santo, che, negli anni, non ha mai mancato di dimostrare fantasia e innovazione nelle sue iniziative.
La preghiera è innanzitutto comunicazione. E chiunque sa che la comunicazione non è solo un fatto verbale, anzi. Secondo alcuni studi, più del 90% di noi presta attenzione a ciò che non è comunicazione verbale (l’intonazione, la gestualità). Per cui, relegare la preghiera a un semplice formulario, spesso sciatto e logoro, è abbastanza lontano dalla realtà e, aggiungerei, dalle sue potenzialità. La nostra necessità di comunicare è quotidiana e costante: chiediamo informazioni, chiacchieriamo con gli amici, ci interessiamo di un conoscente malato, ci appassioniamo se interrogati su ciò che ci fa brillare gli occhi: lo sport, la musica, l’amore.
Preghiera per noi è sinonimo di chiesa e liturgia. Pensiamo alle chiacchiere e la nostra mente corre a pinta, pizza e compagnia. Ecco che abbiamo creato delle barriere. Peggio che architettoniche. E abbiamo sezionato e fatto il catasto: quel luogo e quel tempo dedicati a una cosa (e solo quella!), il resto del tempo (quello della vita!), al resto.
Ma non è possibile continuare così, senza esserne interiormente “divisi”. Incasellare ogni ambito della vita in un suo apposito e preciso spazio, relegando la preghiera, come un hobby, ad un breve tempo, quello “studiato apposta”, con divieto assoluto di sconfinamento, come gli Indiani nelle riserve.
Invece, la grande sfida sta nel trasformare il tempo della vita in tempo opportuno, propizio, favorevole. Sta nel porre in dialogo, costantemente, gli interlocutori della nostra vita, tutto ciò che ci interpella e ci chiede una risposta: la strada, la scuola, la parrocchia, il lavoro, la politica, la famiglia, la società, Dio.
Ogni parola ed ogni gesto può essere opportunità o rimorso. Parole come pietre o parole come carezze? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma a noi, giorno dopo giorno e scelta dopo scelta, la possibilità di far fiorire l’umano intorno a noi.
Una linea orizzontale: sono i rapporti con i nostri simili. Quotidiani, frequenti, burrascosi, difficili. Irrinunciabili.
Una linea verticale: il nostro rapporto con Dio, tra vicinanza, allontanamento, litigi, invidie e gelosie.
Direzioni opposte, cammini apparentemente inconciliabili. Apparentemente.
Fino ad un Fatto. La Croce di Cristo.
Una congiunzione tra orizzontale e verticale. Non solo in senso fisico, né solo in senso metaforico. In senso pieno. Congiunzione tra Cielo e Terra, tra Oriente e Occidente, tra Desiderio e Realtà, tra Dio e l’Uomo. La Croce si fa, allora, unità.
E, all’ombra della Croce, trovano posto il ladro e il brigante, il contadino e il professore universitario, la prostituta, l’assassino, il politico, il bambino, l’anziano, la mamma e la donna in carriera.
E così, ogni segno di croce che tracciamo, ci congiunge, sì, col Padre nei cieli, ma anche coi fratelli quaggiù (quelli con cui litighiamo, quelli che critichiamo, quelli che mal sopportiamo e mal ci sopportano).
La strada orizzontale e quella verticale stringono un nodo che, nella Croce di Cristo, le pone in dialogo. È in quel luogo che si può trovare la pace: non come assenza di conflitto, ma come conciliazione di opposti, nel rispetto delle singole essenze!