Tamara

Dall’album degli avvenimenti dell’anno appena chiuso, salvo un’immagine: ci metto la cornice, la poggio sopra la mia scrivania, la faccio diventare cerniera per il nuovo anno che nasce. E’ la foto che ritrae Tamara Lunger, atleta dell’Alto Adige, bloccata a 100 metri dalla vetta del Nanga Parbat, la nona montagna più alta del pianeta con i suoi 8125 metri. Avrebbe potuto essere la prima donna a raggiungere la cima di un ottomila in scalata-invernale; a pochissimi metri dalla vetta ha rinunciato per non rischiare la propria vita, anche quella dei compagni di cordata. Per non compromettere agli altri il successo dell’impresa: «Essere la prima donna a scalare un 8000 in una prima salita invernale era uno dei miei sogni più belli – ha lasciato scritto nel suo sito internet – Anche se, nel tentativo di realizzarlo, mi è stato regalato molto, molto di più». L’anno prima era stata una valanga a costringere Tamara a rinunciare alla scalata del Manaslu, cima himalayana di 8123 metri; quest’anno è stato il suo altruismo, materia di nobiltà.
Arrestarsi a cento metri da un sogno-gigantesco – con la vetta che ti dice “Non abbandonare così un sogno. Toccami, vieni qui, rischia ancora un po’!” – è gloria o disfatta? Fallire veramente è non sapersi dare una risposta quando la domanda ruggisce dentro, si fa urgente, necessaria. Definitiva. Quell’atleta che sta lassù, ad un passo dal possibile, rimane per me uno scatto formidabile di cosa sia la misericordia. Nell’Anno della Misericordia, non ho trovato uno scatto laico più ammaliante di questo: l’aver scoperto un limite e, in fronte a quel limite, arrestarsi. Rincasare e attorno a quel limite, poi, lavorarci come lavora l’uomo di cesello: con lo studio, l’allenamento, l’introspezione. Nella giornata in cui la stampa la ritraeva bloccata, nell’attimo di tornare indietro, ho ripensato a quello strano elisir che abita i deserti della Scrittura Sacra: ogni passo in avanti dovrà essere preceduto da un passo all’interno, perché non si trasformi in un passo all’indietro. Tornare-indietro non è fare un passo all’indietro, è l’esatto contrario: scoprire che rinunciare oggi è riservarsi la possibilità domani di riprovare. E’ guardare in faccia l’immensità – il Mistero, il rischio, l’ardimento – e raccogliere da chissà quale angolo nascosto dell’animo il coraggio di dirle: “Oggi ho paura, mi fermo qui. Domani ritenterò”. Una storia di misericordia in alta-quota è quella di Tamara. E’ una storia a lieto fine, per l’umiltà di saper discernere la sapienza dalla boria, l’umiltà dalla superbia, la scaltrezza dall’imprudenza.
C’è qualcosa di sacro nell’arrendersi alla verità, qualunque essa sia.
Chi conosce la montagna sa bene che dalla vetta si può solo scendere: la discesa, poi, certe volte è ancora più insidiosa della salita. Anche a questo deve aver pensato quella ragazza trentenne partita da San Valentino al Campo (BZ) e arrivata sulla soglia del sogno: bisognava scendere. Il guerriero, a qualunque razza appartenga, sa bene la logica della conquista: andare, conquistare una terra, ritornare. Una vittoria, senza il ritorno a casa, sarà pur sempre una mezza vittoria. Ho scorto qui, nell’immensità di questa fragilità, la grandezza del gesto: nell’attimo in cui la frenesia tocca un vertice spaventoso – fino ad oscurare pure il pensiero – certe creature riescono a vedere oltre la punta del naso, a rendere relativo l’istante, ad assolutizzare ciò che è assoluto: prima la vita – che è sempre un’andata e un ritorno -, poi tutto il resto. La mia misericordia per il 2017 nasce a cento-metri da un sogno infranto, da una possibilità rimasta vergine: la grandezza può essere nella conquista quanto nella rinuncia. Anche la rinuncia vuol essere fatta in previsione di una conquista ancora più alta: «E se diventi farfalla nessuno pensa più a ciò che è stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali» (A. Merini). Ogni volta che Tamara racconta il suo tentativo-fallito, a stregarmi è la serenità, la serietà delle parole, la suspense: pochi sospettano che la vittoria, certe sere, ami nascondersi dentro gli stracci della sconfitta.
Il mio 2017 inizia mettendo in conto anche di poter fallire, a cento-metri dal sogno. Sento che mi sto concedendo un lusso: sapermi fragile è scoprire che la fragilità è la locanda-di-Emmaus, lo spazio in cui Dio mi ha dato appuntamento per farsi riconoscere dai miei occhi sfiduciati. Per riprendere la corsa con Lui.

Buon 2017 a tutti i nostri lettori!
don Marco Pozza


Ultimi articoli pubblicati:
Tacerlo era diventato impossibile
Riprendiamoci il Natale!
Gesù di Nazareth. È Dio ad essere scomodo
Maria. Una maternità scomoda (II)
Giuseppe. Una paternità scomoda (I)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: