Come una fotografia sfuocata: necessita del tempo per lasciare intravedere la figura che nasconde. Una fotografia che ha fatto prendere in mano carta e penna – strumenti primordiali che hanno animato grandi rivoluzioni di pensiero – agli studenti per urlare in coro: “questi non siamo noi”: avessero taciuto e appeso al muro della classe questa foto senza dire nulla, avrebbero convalidato un loro ritratto che nessuno può ritenere imparziale e rappresentativo. Quelli dipinti nell’articolo sono una rappresentanza degli studenti di Padova, forse quella che scambia volentieri le manifestazioni studentesche e gli scioperi come ore straordinarie delle “visite distruzione” (senza apostrofo, ndr) che animano qualche volta gli anni scolastici: non sono i rappresentanti più affidabili, ma certamente sono di aiuto ad una certa parte di mondo adulto per dire: “guardali i giovani come sono, come vestono, cosa dicono”. Non sono gli unici ma ci sono: fuori dal corteo, nascosti dietro i muretti, scodinzolanti tra le vie del centro. Ammettere la loro presenza è essere coscienti che il popolo giovane non è così unito negli ideali come vorrebbe far credere e, forse per questo, non riesce ad apparire agli occhi del mondo adulto così ferocemente convincente degli ideali che professa.
Una minoranza, però, non cancella il laborioso pensiero degli altri giovani che, assetati di ideali, tengono ancora in cuore il sogno di portare sulla strada la loro voce. Protestare contro una scuola che – come dicono loro nella lettera – è vecchia e non più in grado di formare i ragazzi è una scelta lecita, doverosa e nobile. E’ come prendere in disparte la scuola e, per amore, gridarle in faccia tutta la rabbia perchè la si vorrebbe più bella e amabile, meno formale e più sensuale. Parlarne è già dirle l’amore che si prova perchè si parla di ciò che sta a cuore. Sta a cuore ciò che si cerca. Si cerca ciò che si ama. Dare voce a questa protesta significa chiedere a squarciagola che l’aula scolastica torni a somigliare ad un laboratorio d’artigiano capace di forgiare il pensiero, di strutturare un modo di ragionare, di insegnare un sano protagonismo. Laddove questo non succede, la scuola appare vecchia e consunta, custode di un alfabeto per archeologi e di ideali che odorano di stantìo. Scegliere la strada come protesta, però, è anche un inganno: essa è una cacofonia di suoni e di pensieri, di stili di vita e di posizioni diverse. Forse oggi non è più il luogo giusto per dare voce ad una protesta: nella strada si vede un corteo sfilacciato, l’indifferenza di pochi vale più dell’impegno di tanti, le urla rischiano di non essere più la voce di tutti. E il gruppo diventa una tela sfilacciata e ambigua.
Una scuola bella è prima di tutto una scuola appassionata: una scuola che torna ad allenare al valore delle parole per educare all’esistenza. Colpiva che nel mentre loro sfilavano per le strade, in molti luoghi della città fosse in corso la Fiera delle Parole: un modo forse più elegante per protestare contro l’impoverimento della parola, l’imbarbarimento del linguaggio, la manipolazione del significato. Non urla ma condivisione, non microfoni ma pause di silenzio. Forse che la prossima volta si potrebbe cambiare modo di protestare anche da parte di noi giovani: invece che l’ambiguità della strada, la discussione laboriosa di un atrio della scuola, magari per l’occasione aperto al pubblico. Perchè avete ragione: il vostro mondo non è solo quello dipinto da quell’articolo che vi ha fatto arrabbiare. Siete molto di più. Quella frangia giovane, però, c’è e non possiamo negare che sia di intralcio alla vostra sana battaglia. Rendere consapevoli pure loro dell’importanza di una presa di posizione è forse la prima assemblea da fare in vista della prossima manifestazione. Perchè il sogno di una maggioranza giovane non venga deriso da una minoranza che non ha ancora intuito il sapore di una vita firmata da protagonisti.
(da www.mattinopadova.it, 15 ottobre 2012)