Il-pianto-di-Marta-a26606679Come rondini stordite. O più semplicemente come pittori rimasti privi di una tela su cui sbizzarrirsi. Perché essere giovani è alzarsi un giorno e domandarsi: “ma dove sto andando, che faccio della mia vita, chi mi può riempire il cuore? Posso realizzare questi quattro sogni che ho dentro, c’è qualcuno che lassù mi ama? Che futuro ho davanti?”. Essere giovani è trovare sempre in piazza qualcuno con cui stare a tirare sera sparando idiozie, condividendo sogni, raccontandosi la vita. Essere giovani è sentirsi fatti per cose grandi e trovarsi a volte a fare una vita da polli. È capire che divertirmi oggi per raccontare domani agli amici non mi basta più. È avere una sete che non ti passa con la birra; aver rotto tutti i tabù di ogni tipo spinello, coca, ragazzo, ma sentire ancora un vuoto dentro che ti martella l’anima. Essere giovani è trovare la mattina i calzini pronti, le camicie ben stirate e i jeans lavati. Essere giovani è semplicemente essere giovani: attori protagonisti di uno spettacolo come la vita che non prevede prove iniziali, ma che ti chiede di lanciarti all’avventura anche quando il vento soffia contro, la strada diventa tutta in salita, il fiato sembra mancare.
Come Melissa, fiore strappato sul lungomare di Puglia. Un volto sconosciuto, una storia anonima agli occhi del mondo, un piccolo mondo impastato di sogni e libri, di bellezza e confidenze da donna, di sorrisi e di vestiti da disegnare. La moda era il suo sogno perché la moda è bellezza e gusto, estetica e raffinatezza, passione e colori; perché la moda somiglia tanto alla giovinezza per quel suo unire il sogno alla realtà, l’idea alla concretezza, lo charme di chi indossa il vestito con la rifinitura di esso. Perché essere giovani è sognare di costruirsi un vestito su misura scarabocchiandolo nelle lunghe giornate di scuola, nei meriggi passati a scrutare l’orizzonte, in quel dolcissimo far nulla ch’è diventato lo spazio creativo di migliaia di giovinezze ormai prossime all’avventura. Di loro c’accorgiamo sul limitare dell’esistenza, appena dopo lo scoppio di una bomba: com’è stato triste lunedì tornare a scuola in Italia. Esserci sulla soglia di quello stabile imbiancato di sapere e di sudore con gli occhi impauriti, le facce angosciate, il cuore che batteva forte: da quel giorno non sappiamo più cosa ci sia dietro quel vaso di fiori sull’atrio, dietro il portaombrelle sull’uscio, dentro quel cestino della spazzatura accanto alla porta. Sappiamo solo che Melissa ieri c’era e oggi non c’è più: e per saziarci il cuore non basterà certo ricorrere alla sapienza antica della morte giovane perché cara agli dei. Forse nemmeno il canto funebre e speranzoso di Agostino in memoria dell’amico ci basterà a ritrovare l’ispirazione per continuare a dipingere quella splendida tela chiamata giovinezza.
Di lei rimarrà traccia nello sguardo degli amici, in qualche lacrima furtiva e garibaldina scesa su quel banco vuoto, il quel lento e faticoso incedere di coloro che l’hanno amata. Sarà più onesto pensare che pure lei, però, al pari di mille altre grandi e piccole donne dell’umanità, fra poco il mondo la dimenticherà: lo spettacolo deve continuare, gli spettatori chiedono novità, la gente urla la voglia di divertirsi. E Melissa diverrà uno dei tanti piccoli nomi che forse una volta all’anno qualcuno troverà il coraggio di pronunciare: per non dimenticare. Oppure di lei rimarrà splendida memoria in coloro che davvero credono che gli uomini muoiono ma le idee restano. Come, strappato un fiore, nessuno può trattenerne il suo profumo. Perché nessuno muore davvero se continua a vivere nel ricordo di chi – immeritatamente vivo – ha ora il compito di camminare anche a nome degli altri.
Riposa in pace, Melissa!

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