Come quando giocando a nascondino sei nascosto in un fossato e dall’alto arriva uno che ti smaschera. O come rondini stordite in preda ad un boato che ha ridestato in esse la paura. Siamo grandi e piantati in alto, ma nessun uomo che cresce riesce a sentirsi superiore ad una morte che lo interroga. Ricordarsi che si muore presto – ebbe a dire un giorno Steve Jobs – è il più importante strumento che abbiamo in dotazione per prendere le grandi scelte della vita. Chissà se anche la morte di Tommaso – 12 anni di sogni, di aspettative e di solarità – riuscirà a farci apprezzare un po’ di più questo brandello di storia che chiamiamo vita. Perchè la morte la s’immagina sempre addosso agli altri, forse perchè così ci fa meno paura: la spostiamo, la releghiamo ad una frangia dell’anagrafe, l’additiamo come caratteristica di chi è ormai venerando. Poi un giorno scopri che la morte abita dentro il volto di un bambino sano e luminoso, forte della sua esuberanza e innamorato della vita, un volto che ha appena iniziato a sporgersi sul palcoscenico della vita dopo anni passati ad apprendere l’umile arte di scoprire il proprio posto dentro il mondo. Domattina il banco a scuola rimarrà vuoto: forse qualche mazzo di fiori, la profondità di qualche pensiero lasciato in calce al diario o la simpatia di qualche compagno di classe renderà il dolore un po’ meno insopportabile. Ma di certo una domanda rimarrà come incancellabile scarabocchio nella mente di chi con lui condivideva la giovane età: “perchè si muore ancora bambini?”. Chissà quanti sogni, quante aspettative, quanti pensieri dietro quello sguardo giovane e penetrante: rimarranno “cose che nessuno sa”, quelle cose che anche un bambino piccolo un giorno imparerà ad additare come i grandi misteri che illuminano la vita.
Quando si è bambini si esce sempre da casa in bicicletta, nelle affollate vie del quartiere essa diventa ben presto lo status-symbol di chi nasce per cercare compagnia: le sere con le loro scorribande, i pomeriggi costellati di appuntamenti, i primi appostamenti sotto il balcone di qualche sguardo da zingara. Eppoi la scuola, l’oratorio, il centro, l’argine: soli in compagnia della propria bicicletta che diventa la compagna dei primi passi di questa vita che non accetta mai d’essere guardata dall’alto in basso. Si pedala da soli in fronte a lei finchè un giorno – per chissà quale insopportabile motivo – lei decide che da quella bicicletta devi scendere. Non importano i sogni e quel che resta dei tuoi progetti: importa imparare che da quaggiù tutto sembra un’intricata confusione, una disordinata e confusa sala d’aspetto. Da Lassù Qualcuno c’ha assicurato che la prospettiva è colorata di Risurrezione.
Diciamolo ai più piccoli che di fronte ad un bambino che muore chi ha fede piange come tutti gli altri uomini sulla faccia della terra: il Dio che Tommaso ha appreso in parrocchia non è un Dio che risparmia la fatica e l’attesa, le domande e il dubbio, la ricerca e il tormento. E’ semplicemente un Dio che invita ed aiuta a cercare un senso dentro l’apparente insensatezza di una morte giovane. Attorcigliati a quella bicicletta – come le vecchie cameradarie di un tempo – rimarranno attaccati tanti interrogativi e s’apriranno nuove consapevolezze che anche i bambini saranno costretti ad apprendere.
In questi giorni in quartiere qualche bambino gusterà forse un po’ di più le piccole cose d’ogni giorno. Perchè se la vita è una questione d’amore, la sua durata è una di quelle cose che nessuno conosce. Riposa in pace, Tommy: quaggiù rimarrai per sempre il bambino che usciva da casa in sella alla sua bicicletta. Col sorriso di chi è convinto quant’è meravigliosa la vita.