Han sentito il cuore vibrare e si sono scomodati, agganciando una stella al bramire dei loro cammelli allevati nelle stalle d’Oriente: “Dov’è il Re dei Giudei che è nato?” Disturbati magari nell’attimo esatto in cui erano riusciti a decifrare le costellazioni, hanno accantonato scienza e sapienza e sono partiti alla volta di Betlemme barattando la sicurezza delle abitudini con l’ingenuità di un viaggio. Nel loro Oriente ci si fida dell’astrologia e ci s’inchina alle divinità; ma, pur discepoli di Zoroastro e teorici dei calcoli dei Caldei, alla vista di quella stella un battito d’insopportabile gaudio accese i loro passi. Disturbati nel sogno da voci angeliche – postini dell’Eterno sin dai tempi di Abramo – seppero come pochi altri trafficare la ricchezza senza prendersi gioco della dottina, fino a strappare uno spazio tra le righe dei Vangeli. Sono uomini piantati nel tempo ma lesti e sorprendenti nel fiutare la novità che abita nella grotta di Betlemme. L’inganno di Erode nulla potrà sulla loro attesa e gli risponderanno con un’intelligente ingenuità. Molto vecchi e molto saggi, al vedere la stella sentirono il cuore fremere come quello dei fanciulli; e come fanciulli stupiti accettarono il rischio del viaggio, fedeli al primo dovere dell’uomo, ch’è quello di sperare, come ricordava Romano Guardini.
Nati per sperare e per alimentare la Speranza, dei Magi rimane oggi quello sguardo sveglio e profondo che vale la più bella provocazione per l’uomo contemporaneo. Esausti di cieli artificiali e di sguardi appassiti, sentiamo pure noi germogliare la sete di grandi desideri, di occhi che non cedano alla superficie delle cose ma che raccolgano l’invito di Isaia ad “allargare lo spazio della propria tenda”. Così da contemplare negli sguardi trafitti e torturati dei nostri giovani una sete di Dio inaspettata e sorprendente. La loro letteratura – magari lasciata in calce a qualche muro colorato di graffiti – raramente ti parla di Dio. Eppure parlano di insuccesso e delusione, di emozioni e di fremiti, di sogni e passioni che altro non sono che la “nostalgia del totalmente altro” cantata da Max Horkheimer. Cosicchè la rarità con cui ne parlano potrebbe essere il loro modo profano di parlare oggi della loro sete di Eterno.
Una stalla nuda diventa oggi il tabernacolo dell’Altissimo, grazie ad una “mistica dello sguardo” capace di grattare la superficie dell’apparenza. Dell’apparenza dei giovani d’oggi che, come lucertole sotto il sole d’agosto, fanno finta d’essere morti ma in realtà stanno fiutando il passaggio di un qualcosa che accenda in loro il prodigio di un guizzo. A guardali dall’elicottero la loro epigrafe è già stata scritta: “Il mondo va male. Il mondo è frammentato, i giovani non sognano”. A guardarli nel volto c’è l’anticipo e la scia di quella Bellezza di Betlemme. Per Erode e i suoi discendenti i giovani saranno sempre e solo il futuro; per i Magi quel Bambino – anticipo di tutti i bambini della storia – è uno splendido presente. Da quella prima Epifania della storia promettere il futuro ai giovani rubando loro la possibilità di giocarsi il presente rimarrà l’emblema di chi non sa guardare la storia con occhi di trasparenza. Anche Erode pensava un giorno di averli contati tutti, ne scappò Uno che gli spiegò – millenni dopo Mosè, un altro scampato allo sterminio – il Vangelo della giovinezza: quando tu li pensi sconfitti, loro scattano in contropiede.
Nel loro sguardo trafitto abita il mistero di un’Epifania che continua a provocarci.
(Editoriale di Avvenire, 6 gennaio 2012)