Senza il senno di poi, al primo dei due festeggiati di oggi non avremmo dato in partenza mezzo centesimo. Se avessimo accettato di fermarci alle apparenze non avremmo scommesso su di lui, giocandoci una bella fetta di fiducia. Senza il senno di poi, nemmeno il secondo festeggiato avrebbe avuto gioco facile nel guadagnarsi tutta la nostra stima: troppe ombre sul suo passato a minacciare la sua credibilità.
Un umile pescatore, in un posto quasi-sperduto del pianeta, eletto a guida d’uomini per una nuova religione che avrebbe cambiato il mondo? Impossibile, dai! Se poi il pescatore – di pesci e d’uomini – s’affretta a ritrattare la propria amicizia con colui che gli ha dato il ruolo di capo, per cercare di non passare dei guai, è un disastro combinato già ai blocchi di partenza.
Colui che fu così fervente sostenitore del proprio credo da perseguitare senza timori i propri simili, poi, non è che se la passi meglio, in quanto ad inizio puntellato da molteplici difetti.
Eppure…
Eppure è proprio l’abisso della fragilità umana, su cui Pietro e Paolo si stagliano, che con il senno di poi diventa il loro stupefacente trampolino di lancio. Né l’uno né l’altro sarebbero stati pietre fondamentali del cristianesimo, senza quegli inciampi che hanno caratterizzato le loro vite, le loro scelte successive e la loro personalità.
In cosa consiste la grandezza per cui li ricordiamo e festeggiamo proprio oggi? Per aver saputo morire pur di non rinnegare la loro fede in Gesù? No, è quasi poca cosa, rispetto invece a ciò che fa di loro dei giganti: l’aver preso coscienza della propria piccolezza. L’aver saputo vedere dentro di sé la voragine delle proprie mancanze, messa al confronto con l’infinità dell’amore divino, senza cedere a quella disperazione che invita a mandare tutto all’aria e che ti sbarra ogni via d’uscita. Memori di una Misericordia che per prima aveva mosso i suoi passi verso le loro vite, hanno lasciato che essa riempisse ogni anfratto, ogni crepa della loro persona, per costruirci sopra qualcosa di nuovo ed inaudito.
In molte occasioni, troppe, veniamo sopraffatti da circostanze che assumono le sembianze di inflessibili segnali di Stop che sembrano condannare la nostra quotidianità. Ci ritroviamo, nostro malgrado, a dover affrontare strade che non avremmo mai pensato di percorrere, fino a trovarci, a volte, dinanzi ad un abisso superabile solo alla maniera dei funamboli. Incredibilmente piccoli e fragili, se teniamo puntato lo sguardo sotto ai nostri piedi – se cioè ci focalizziamo solo su quel che non abbiamo, sulle nostre mancanze – è quasi certo che falliremo.
Certo, a parole sembra tutto facile. Anche a strada già percorsa, a ostacolo già superato, sembra tutto semplice e di poco conto. Quando invece la vita ti sbatte addosso il cataclisma, è lì che si gioca tutta la differenza.
Nella festività dedicata ai santi Pietro e Paolo – invece – dinanzi a due vicende agli antipodi, tutto questo discorso sembra pura retorica stucchevole anche a me che scrivo queste parole. Da un lato le mani di un figlio che sorreggono quelle di un padre – Niccolò ed Alex Zanardi – la fiammella di una speranza che non ne vuole sapere di spegnersi. Dall’altro le mani di un padre che si sono protese per uccidere i propri figli e se stesso, mentre la speranza è stata abbattuta da un disegno egoisticamente folle ed omicida ed il dolore di una madre diventa strazio per cui non c’è consolazione.
Entrambe queste vicende, ma anche quelle che ognuno di noi deve affrontare ogni giorno, hanno però un denominatore comune: la fragilità – mentale, spirituale e fisica – che molte volte ci fa sentire come bolle di sapone in balia della tempesta perfetta.