«Partita finisce quando arbitro fischia» tuonava Boskov, indimenticato allenatore, qualche anno fa. Le sue sentenze, spesso bollate come pleonastiche e lapalissiane, si sono rivelate piccole perle di inestimabile valore, la cui ovvietà era rimpiazzata dalla scarsa abilità di metterla in pratica.
Infatti, chiunque abbia indossato scarpe coi tacchetti almeno una volta nella propria vita, dovrebbe essere perfettamente consapevole di questa che è una delle prime e basilari regole del gioco del calcio: così come il primo fischio, che dà inizio alla contesa in campo, anche il triplice fischio, che sancisce ufficialmente la fine delle ostilità, spetta, di diritto, all’arbitro. E ciò avviene nonostante, durante gli ultimi, frenetici minuti si rincorrano le voci che dicono sia già finita o si domandano se saranno assegnati minuti di recupero e quanti. Ma tutte queste sono niente più che chiacchiere, fino alla comunicazione ufficiale dei minuti da giocare e all’agognato fischio conclusivo.
Come nel calcio, così nella vita; troppo spesso, ci dimentichiamo questa regola fondamentale. Ci accontentiamo del pressappochismo e ci illudiamo di potere, con poco, prevedere il prosieguo dei fatti. Invece, tante volte, il futuro, com’è giusto che sia, ci riserva sorprese. Ed è bene che sia così.
Innanzitutto per ricordarci che nostro è solo il presente ed il futuro possiamo forse intuirlo ma certo non possederlo né farlo nostro, almeno fino a che non si è trasformato, a propria volta, in presente.
Secondariamente, perché ci rende più consapevoli della varietà disponibile davanti ai nostri occhi: l’inatteso è la forma d’imprevisto che più c’infastidisce, ma, al contempo, ci fa crescere.
In terzo luogo, vi è poi una lezione di speranza, per la vita. Perché Trump non ha vinto per una o più cause favorevoli. Al contrario, la sua vittoria è arrivata nonostante. Nonostante i cantanti più famosi fossero scesi in campo con Clinton; nonostante le spese maggiori, per la campagna elettorale fossero state fatte dalla sua avversaria; nonostante i media fossero palesemente favorevoli a lei. Nonostante tutto, ha vinto l’altro.
A parametri oggettivi, la sua vittoria è davvero motivo di sorpresa, perché tutto gli ha giocato contro e nulla o quasi nulla erano gli elementi a suo favore. O meglio, ogni elemento che poteva essere considerato a suo favore, si rivelava, ad un’analisi più attenta, un’arma potenzialmente a doppio taglio. Giusto per fare un esempio: la sua assenza di diplomazia “politically correct” (in virtù della quale potrebbe essere, sommariamente , accomunato al Movimento 5 Stelle) potrebbe averlo avvicinato ad una certa parte della popolazione stufa di sentire parlare in politichese, a scapito, però, di perdere il pubblico dei talk show politici.
Trovo un insegnamento fonte di speranza per tutti, nascosto in questo evento: a volte proprio partire dalle retrovie e con tutti contro, è il modo migliore per raggiungere un obiettivo, anche se è faticoso pensare una cosa simile. Ma la realtà è che non ti è lecito pensare che un evento sia impossibile, finché esiste almeno una minima percentuale di probabilità che possa renderlo realizzabile. Del resto, se il Leicester è riuscito a vincere la Premier, cosa ancora appartiene alla categoria dell’impossibile?
Se la questione mi fosse (mai) stata posta a livello personale probabilmente avrei declinato l’invito (ho avuto simpatie per altri candidati, precedentemente eliminati), che, del resto, non mi ha mai riguardata direttamente, non essendo cittadina americana. Tuttavia, con il Manzoni, preferisco non lasciarmi andare a giudizi avventati: il presente è un dono e un’opportunità, ma solo a distanza di anni avremo la lucidità di valutare i fatti accaduti, per cui “ai posteri l’ardua sentenza”.