La prima volta che l’ho visto, quindici anni fa, subito ho pensato: “A quest’uomo hanno manomesso il cervello: senti di che cosa parla! Oppure ha un fegato da far studiare ad Harvard”. Pur preferendo di gran lunga quelli delle donne more, mi colpirono i suoi occhi: sono rimasti azzurro formidabile, trasparente, tinta oceano. A tavola parlava di pedofilia, pederastia, di pedopornografia, sevizie, abusi, di bambini violentati dopo sei giorni dalla nascita. Mi veniva da vomitare, mi sforzavo di non farlo: il suo fisico da Bud Spencer mi intimoriva, il suo cuore da frà Cristoforo era un invito alla resistenza. Gli uomini della scorta non lo mollavano di vista un secondo: qualche giorno prima avevano sventato un attentato chimico nella sua canonica. In quattordici anni di seminario, più uno da prete, non avevo mai sentito il minimo accenno su di lui, quasi non esistesse al mondo: però parlavano di clergyman, talare, tricorni, unicorni. Unità pastorali. Di dottorati, parrocchie prestigiose, potenziali episcopati (mai avveratisi, per fortuna). Però avvertivo che (anche) nella Chiesa c’erano abusi sessuali in corso, porcate morali, miserie zitelle. Dunque, quella sera, tirai la mia conclusione, conclusione secca e mai più smentita in seguito: “Questo prete dev’essere di un valore incommensurabile, Marco: è per questo che non ne parlano, che la maggioranza lo ignora, che in tanti lo ingiuriano, dandogli addirittura del pedofilo. Lui che, come un sarto appassionato, rammenda le carni bambine offese da chi di pedofilia ferisce”. Il mio finale fu senz’appello: “Scusi, don Fortunato: non è che posso avere il suo numero di telefono, per cortesia?” Io un sassolino, lui l’Everest. Mi ha abbracciato, la sua stazza mi ha tolto il respiro, il suo cuore me l’ha restituito raddoppiato: “Per salvare anche un solo bambino, don Marco, credimi: sono disposto a morire” mi ha confidato. Ero nessuno, mi sentivo depositario di un faldone di santità in corso. Il cervello gli funzionava davvero: il fegato non so come non si sia ancora spappolato andando e tornando da laggiù. D’allora, per me, è vero alter Christus.
In trent’anni quegli occhi hanno visto l’inferno in diretta e in mondovisione, hanno adocchiato l’inverosimile, affrontano a muso duro ciò che pochi hanno il coraggio di squadrare. Figurarsi di stanare, denunciare, punire. Non si offendano le anime verginelle della messa prima se dico ciò di cui sono convinto davvero: quest’uomo ha fatto della merda una materia teologica, il luogo dal quale, nel quale, parlare di Dio e della sua invereconda bellezza. Sì, ha preso la merda e l’ha vivisezionata. Perchè se il male è il guano di Satàn, la pedofilia è la reificazione di quella merda che è Satana, di chi è Satàn: sterco, liquido e solido. “Meglio non guardarla, altrimenti si corre il rischio di sporcarsi”: così ragiona, ha ragionato, una certa Chiesa. Lui, invece, si è sporcato, infangato, si è fatto puzza, odore pur di andare a salvare chi, nella fognatura di questo peccato, è stato carcerato, da perfetto innocente: i bambini, con la loro fanciullezza addosso. La Chiesa – com’è prevedibile una certa chiesa, come sono prevedibili certi cristiani -, l’ha isolato pesantemente, ha provato a farlo morire di solitudine. Esattamente come la mafia: non ti uccide, ti crea il deserto attorno, addosso. Ti umilia rendendoti invisibile ai suoi occhi: negli ultimi anni, decenni, hanno istituito commissioni ad hoc per la tutela dell’infanzia, studiato strategie per debellare (a parole) questa piaga smerdata ch’è la pedofilia, indetto sinodi sull’educazione, convegni sulla fanciullezza. Oltre ai piani pastorali su come impostare tre ore di grest estivo. Volete ridere (per non piangere)? In casa, ch’è la chiesa italiana, abbiamo l’uomo più capace in materia: lo minacceranno di morte per qualcosa, oppure no? E, siccome hanno in casa il carro armato, cosa fanno? Lo ignorano, lo lasciano marcire in fondo all’isola di Trinacria, gli danno del pazzo, dello scriteriato, del cretino, del volgare solo perchè invita a guardare come si riducono i bambini violentati. “Don Di Noto ama esagerare, gli piace apparire in televisione, è sempre su internet”. Il fatto è che si va troppo in chiesa e si accetta di conoscere troppo poco Cristo, perchè fa paura il suo invito di andare in guerra a fare la guerra alla guerra: per questo, taluni, vanno in battaglia senza lo stratega migliore a condurli. E non portano mai a casa l’orso, al massimo gli fanno una foto e poi l’appendono in ufficio: “Guarda come ci siamo avvicinati, hai visto che bravi?” si sbrodolano tra loro. Oppure, inizio a crederci, che sia proprio voluta questa cosa, studiata a tavolino da delle commissioni di raccomandati inesperti: “Facciamo sinodi, convegni, cianfrusaglie varie: ma assicuriamoci che non cambi nulla. Però, se un giorno dicessero qualcosa, possiamo sempre dire d’averne parlato”. A vanvera, o quasi. Comunque la si guardi, ha ragione ancora lui, e torto marcio loro: “Chi sa fare faccia, chi sa parlare taccia” continua a ripetere, da tre decenni, questo santo uomo del Sud-Italia. Solo la fede l’ha salvato dalla disperazione, dagli attentati, dagli agguati. Solo Dio basta, vedete?
Poi, sabato mattina, Pietro l’ha chiamato da lui, in udienza privata. Pietrofrancesco, soprattutto lui, è odiatissimo perchè non è un campione: i campioni sanno fare cose che pochi sanno fare. La chiesa italiana ha anche qualche bravo campioncino nella sua scuderia episcopale; ma Pietro, signori, è un fuoriclasse della Madonna: sa fare cose che nessuno sa fare, sa dire delle cose che nessuno ha il coraggio neanche di balbettare: «Quante ferite spirituali avete fasciato! – ha esordito nel suo toccante discorso – Per tutto questo la comunità ecclesiale vi è riconoscente (…) L’abuso sui minori è una sorta di omicidio psicologico e in tanti casi una cancellazione dell’infanzia». Quando ho visto questo pretaccio piangere come un bambino davanti al Papa, ho capito che trent’anni di sofferenza patita è stato il prezzo pattuito da Dio per arrivare lì, tra le braccia di Pietro. E da lì, poi, alzarsi in volo, con tutti i bambini stretti per mano. Ha parlato, ha pianto, si è interrotto: il Papa – non ho mai distolto gli occhi dai suoi occhi – non ha perso una delle sue parole. Era stordito nell’udire certi numeri, le parole, i racconti: pareva che gli dessero delle sberle in faccia, ripetutamente. Poi l’ha abbracciato. Ho pianto, lo ammetto: in quell’abbraccio ho letto anche la scusa per questi anni di solitudine, di isolamento, di calunnie. Pietro ha detto delle cose gigantesche, incontrovertibili, su Associazione Meter, sulle sue battaglie, sulla loro abnegazione: queste parole – mi dispiace per i detrattori, che sono ancora troppi – da sabato sono uno spartiacque. Ormai, cari signori silenziatori, sono state dette, scritte, pubblicate. Firmate e controfirmate da Pietro, non si possono più censurare: «La vostra Associazione possiamo paragonarla a una casa – ha detto guardando negli occhi i presenti, partiti a notte fonda quasi dall’Africa -. Siete stati, siete, “casa” per tanti bambini violati nella loro innocenza o schiavizzati dall’egoismo degli adulti. Siete stati, siete, casa di speranza, favorendo in molte vittime un percorso di liberazione e di riscatto». Sono le medesime parole che per trent’anni don Fortunato ha urlato con la sua voce, anche quando gliel’hanno tolta, provando invano a renderlo afono: Pietro, queste stesse parole, le ha prese e portate in HD, alta definizione. Le ha fatte sue, sono diventate infrangibili come la pietra: adesso sono le parole del Papa, parole di non-ritorno. Pietro ha capito al volo chi aveva davanti: c’è da crederci che la musica cambierà presto, perchè Pietro vuole vincere definitivamente questa guerra contro la merda. Con meno convenevoli in salotto, con più profeti dalla lingua sciolta in avanscoperta sulle strade slabbrate del mondo: «Il vostro lavoro è quanto mai necessario – ha rimarcato, in barba alle (s)variate commissioni – perché, purtroppo, continuano gli abusi perpetrati ai danni dei bambini». Convochiamo i più in forma, dunque: forza! Non i soliti raccomandati: sono anni che ci fanno perdere, credendo di farci vincere per non venir cacciati!
In piazza, mentre aspettavamo l’udienza, si è avvicinata una ragazza (bellissima) a questo prete così siculo da essere patrimonio mondiale dell’umanità: “Padre, mi scusi – dice a don Fortunato – posso dirle che lei è un grande? L’ammiro tantissimo per quello che fa. Ma come fa a dormire con tutto quello che vede?” E lui, lottatore di Sumo per conto di Cristo, a risponderle con uno sguardo angelico. Il mio dubbio è diventato negli anni una felicissima certezza: che l’urina che gli pisciano addosso gli faccia da detergente. Perchè più gliene riservano, più i suoi occhi si fanno trasparenti, divini, bambini. E’ dura ammazzare uno che Dio ha scelto: «Non abbiate paura di fronte alle incomprensioni e alle difficoltà – ha chiuso Pietrofrancesco, quasi a dire “Conosco la vostra storia, non preoccupatevi. Me la sono studiata bene” -; ce ne sono tante, ma non abbiate paura. Andate avanti con coraggio e perseveranza. Vi accompagno con la mia preghiera, con la mia benedizione. Voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!». Io, don Fortunato, lo nominerei cardinale in questo stesso istante: cardinale protettore dell’infanzia deturpata. Anche san Francesco aveva un cardinale protettore, altrimenti come avrebbe fatto ad arrivare dal Papa quella volta? O, se vogliamo fare le cose con gradualità, immediatamente vescovo: vescovo della Diocesi dell’Infanzia. Non di una delle tante Diocesi di Penelope, dove si è sempre al punto di partenza e la tela non diventa mai un vestito. La grande consolazione, la più grande consolazione dopo l’assistenza di Cristo, è che Pietro ha fiuto in abbondanza: lo sa, eccome se lo sa, che i cani più fedeli sono quelli che abbaiano, fino a perdere la voce, a rompersi le corde vocali. Non quelli che, drogati (magari anche nel vero senso della parola), fanno entrare i ladri. E poi fanno il baciamano al padrone che, avvilito, guarda la sua casa svuotata. Deturpata.
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI MEMBRI DELL’ASSOCIAZIONE “METER”
Sala Clementina
Sabato, 15 maggio 2021
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di incontrare voi rappresentanti dell’Associazione Meter, che dal 1989 – quando pochi parlavano di questa piaga – è impegnata nella lotta alla pedofilia in Italia e in altri Paesi. Saluto e ringrazio il Vescovo Mons. Antonio Staglianò e Don Fortunato Di Noto, che ha fondato questa importante realtà. E saluto e ringrazio il Cardinale Paolo Lojudice, e quanti in vari modi sostengono l’Associazione, a tutela e difesa dei bambini abusati e maltrattati.
In questi anni, col vostro lavoro generoso, avete contribuito a rendere visibile l’amore della Chiesa per i più piccoli e indifesi. Quante volte, come il buon samaritano del Vangelo, vi siete fatti vicini con rispetto e compassione, per accogliere, consolare, proteggere! Vicinanza, compassione e tenerezza: è lo stile di Dio. Quante ferite spirituali avete fasciato! Per tutto questo la Comunità ecclesiale vi è riconoscente.
La vostra Associazione possiamo paragonarla a una casa. Quando diciamo “casa” pensiamo a un luogo di accoglienza, di riparo, di custodia. La parola casa ha un sapore tipicamente familiare, che evoca il calore, l’affetto, la tenerezza che si possono sperimentare appunto in una famiglia, specialmente nel momento dell’angoscia e del dolore. E voi siete stati e siete “casa” per tanti bambini violati nella loro innocenza o schiavizzati dall’egoismo degli adulti. Siete stati e siete casa di speranza, favorendo in molte vittime un percorso di liberazione e di riscatto. Vi incoraggio pertanto a proseguire in questa benemerita attività sociale e umana, continuando a offrire il vostro prezioso contributo nel servizio di protezione dell’infanzia.
Il vostro lavoro è quanto mai necessario perché, purtroppo, continuano gli abusi perpetrati ai danni dei bambini. Mi riferisco in modo particolare agli adescamenti che avvengono mediante internet e i vari social media, con pagine e portali dedicati alla pedopornografia. Si tratta di una piaga che, da una parte, richiede di essere affrontata con rinnovata determinazione dalle istituzioni pubbliche, dalle autorità, e dall’altra, necessita di una presa di coscienza ancora più forte delle famiglie e delle diverse agenzie educative. Anche oggi vediamo quante volte nelle famiglie, la prima reazione è coprire tutto; una prima reazione che c’è sempre anche in altre istituzioni e anche nella Chiesa. Dobbiamo lottare con questa abitudine vecchia di coprire. So che voi siete sempre vigili nel proteggere i bambini anche nel contesto dei più moderni mezzi di comunicazione.
L’abuso sui minori è una sorta di “omicidio psicologico” e in tanti casi una cancellazione dell’infanzia. Perciò, la protezione dei bambini contro lo sfruttamento sessuale è un dovere di tutti gli Stati, chiamati a individuare sia i trafficanti sia gli abusatori. In pari tempo, sono quanto mai doverose la denuncia e la prevenzione attuate nei vari ambiti della società: scuola, realtà sportive, ricreative e culturali, comunità religiose, singoli individui. Inoltre, nel campo della tutela dei minori e nella lotta alla pedofilia occorre predisporre interventi specifici per un aiuto efficace alle vittime.
Su tutti questi fronti l’Associazione Meter collabora attivamente con organi istituzionali e con diversi settori della società civile, tramite anche opportuni protocolli di intesa. Continuate senza tentennamenti la vostra opera, ponendo particolare attenzione all’aspetto educativo, per formare nella gente una coscienza salda e sradicare la cultura dell’abuso e dello sfruttamento.
Il logo della vostra Associazione è formato da una grande lettera “M” che richiama l’idea di grembo, accoglienza, protezione e l’abbraccio ai più piccoli. All’interno della “M” si trovano dodici stelle, simbolo della corona della Vergine Maria, Madre di Gesù e madre di tutti i bambini. Ella, madre premurosa, tutta protesa ad amare suo Figlio Gesù, è modello e guida per l’intera Associazione, stimolando ad amare con carità evangelica i bambini vittime di schiavitù e di violenza. La carità verso il prossimo è inseparabile dalla carità che Dio ha per noi e che noi abbiamo per Lui. Per questo vi esorto a radicare sempre la vostra attività quotidiana nella quotidiana relazione con Dio: nella preghiera personale e comunitaria, nell’ascolto della sua Parola e soprattutto nell’Eucaristia, sacramento di unità e vincolo di carità.
Cari fratelli e sorelle, rinnovo ai responsabili, ai soci, ai volontari e a quanti cooperano con la vostra Associazione il mio apprezzamento e la mia riconoscenza. Non abbiate paura di fronte alle incomprensioni e alle difficoltà; ce ne sono tante, ma non abbiate paura. Andate avanti con coraggio e perseveranza. Vi accompagno con la mia preghiera e anche con la mia benedizione. E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
Lo scatto
Mi piace assai questa foto. E’ stata scattata in attesa di Pietro. C’è un cardinale di Santa Romana Chiesa: don Paolo Lo Judice. C’è un vescovo di Santa Romana Chiesa: don Tonino Staglianò, vescovo di Noto. E poi ci sono tre “cagnacci” amici: io, don Fortunato Di Noto (monsignore), don Maurizio Patriciello. Dopo poco arriverà Pietro. La cosa bella è che, pur non conoscendoci tutti, ci siamo incontrati per gioire della gioia di uno di noi, di don Fortunato e della sua Associazione Meter. E, condividendo la loro gioia, è stato come se ci conoscessimo da sempre. Miracoli della non-gelosia.
Una risposta
I miei sacerdoti preferiti, don Fortunato e don Maurizio. E da oggi anche lei don Marco