Chi sei?
Chi la gente dice che sia Gesù Cristo? Chi è davvero? Può rimanere un quesito relegato a duemila anni fa, in un angolo dell’impero, qual era la Galilea delle genti? O forse, oggi più che mai la sua presenza, silente e pertinace, è ancora più manifesta anche quando non è istituzionalizzata come tale. Forse, appunto per questo.
Rimane una caesura, uno spartiacque ineludibile. Prima e dopo Cristo. Per cui non ci si può tirare indietro: ateo o credente, spirituale o meno, c’è un figlio di un carpentiere che ha stravolto la storia e ti chiede di prendere una posizione, una qualsiasi. Perché anche rifiutarsi di prenderla rappresenta, a tutti gli effetti, una scelta.
Un vessillo per i popoli
Un primo abbozzo di risposto può provenire dalla prima lettura, nella quale il profeta Isaia parla della “radice di Iesse”1, che sorgerà come “un vessillo tra i popoli. La progenie della famiglia di Iesse non è nominata in modo causale. Nella storia d’Israele, Iesse assume un ruole di primo rilievo, essendo il padre di Davide, il re per antonomasia, pur con tutte le sue fragilità ed i suoi peccati, tanto è vero che il suo nome diventa sigillo di garanzia e associato a tantissimi salmi, anche se oggi sappiamo che moltissime attribuzioni risalgono anche a secoli dopo la sua morte.
Il re-pastore
Davide, il giovinetto “fulvo e di bell’aspetto” richiamato dai campi, mentre pascolava il gregge del padre. Non era neppure presente, quando Samuele arriva, per ungere il nuovo re d’Israele. I suoi fratelli maggiori, uomini forti e vigorosi, secondo il cliché di un re che sia anche un valente condottiero (ma anche secondo il precedente più cronologicamente vicino, dal momento che saul è espressamente descritto, all’opposto di Davide, scuro di capelli, specificando che “tra i figli d’Israele non c’era nessuno più bello di lui; dalle spalle in su era il più alto di tutta la gente”2), sono stati scartati. Passati al vaglio divino, con stupore dello stesso Samuele, nessuno di essi ha guadagnato il favore per diventare il nuovo re d’Israele. La scelta cade sul ragazzino, quello che non c’è, quello da andare a cercare, perché non era stato ritenuto degno di unirsi agli adulti. Ma, in questo episodio come in molti altri, Dio pare infischiarsene delle convenzioni/convinzioni degli uomini.
Il “pastore bello”
“Io sono il pastore, quello bello (buono)”3 così dice di sé il Cristo, nel vangelo di Giovanni, ripristinando, così, il legame con la sua dinastia, riconosciuta da molte correnti come quella da cui sarebbe venuto il Messia atteso, probabilmente, proprio sulla base del brano profetico di Isaia.
Il primo dei peccatori
Anche l’apostolo Paolo si domanda chi sia Cristo, quel Cristo che esulava dagli insegnamenti rabbinici e i cui discepoli diffondevano eresie. Lui ci prova, ma… niente, non ce n’è. Non basta la conversione e il cambiamento di vita. Lo spirito competitivo di Saulo di Tarso emerge anche quando diventa l’apostolo delle genti. Uno come lui può anche arrivare a riconoscersi peccatore, ma anche in quell’ambito deve primeggiare4.
La grazia sovrabbondante
Perché Saulo, il garante della perfezione giudaica, il brillante studente della scuola di Gamaliele, è stato sopraffatto dalla grazia. Per lui, il nome di Dio è diventato misericordia, perché ha ricevuto magnanimità, da Cristo e dalla sua Chiesa che, nonostante avesse avuto esperienza di lui come un bestemmiatore, un persecutore e un violento5, ha scelto di concedergli fiducia. Quella fiducia che gli ha consentito di compiere uan trasformazione: da Saulo il terrore dei cristiani, a Paolo l’apostolo delle genti.
Un insegnamento attuale
Ricordare la conversione di San Paolo, per cui l’apostolo esprime gratitudine nella lettera a Timoteo, ci ricorda di come, dal più acerrimo nemico, possa giungere, talvolta, un’insperata alleanza. A volte, gli scontri nascono da un’incomprensione. Perché Saulo e Paolo cercano in realtà la stessa cosa, ma con strumenti diversi. Saulo perseguitava chiunque deviasse da quella che lui riteneva la dottrina corretta. Paolo si reca ad evangelizzare i Gentili perché, guardando con occhi nuovi la Scrittura, ha compreso che quel Cristo era lo stesso atteso dai Giudei. Ma sia Saulo che Paolo erano in cerca dell’autenticità.
Le voci della gente
Nel nono capitolo del vangelo di Luca, sono narrati ben pochi miracoli. Al centro, sono poste le parole di Cristo. La domanda fondamentale è chi sia Gesù, il figlio del carpentiere di Nazaret, che insegna “con autorità”6. L’opinione pubblica, come spesso accade, è discorde, al riguardo:
«Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto» (Lc 9,19)
La confusione maggiore non si manifesta quando non si ha alcuna idea; al contrario, la confusione paralizzante nasce quando se ne hanno troppe, affollano la mente, formando ingorghi come in una rotonda senza regole di precedenza.
La voce di Pietro
«Il Cristo di Dio»7: la risposta di Pietro prorompe in mezzo al chiacchiericcio indistinto di una folla che si ostina a voler ricondurre Gesù di Nazaret a ciò che già conosce, addomesticandolo entro ciò che è in grado di controllare. Pietro comprende, forse, solo intuisce per grazia divina divina8, che ha davanti qualcosa che sfugge alle definizioni. Che, in parte, richiama l’attesa del popolo d’Israele.
Il Figlio dell’uomo deve soffrire
ancora non basta, però. Il Maestro sa bene che deve specificare come intende essere l’inveramento dell epromesse messianiche, perché lo sarà in modo inusitato e imbarazzante.
Il 14 settembre, abbiamo celebrato la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Una festa scomoda, forse. Scomoda per una mentalità che predica il successo e la celebrità. Che sogna il mito dell’eterna giovinezza. Scomoda, anche, quanto lo era un Messia crocifisso per il popolo giudaico che univa, alla profezia religiosa, il sogno sociopolitico dell’agognata libertà dall’oppressore straniero.
3 in 1
In un Dio che è il massimo della libertà (unità), ma anche il massimo della comunione (Trinità), anche la Pasqua è un unico giorni, riverberante in tre giorni. Perché “il terzo giorno”9 risorge da morte, dopo aver patito le sofferenze inflittegli. Ma è già racchiuso nella consegna dello Spirito, sulla croce il venerdì santo, la vittoria sul peccato e sulla morte, per amore dell’uomo. Perché non è possibile scindere la Pasqua in parti: è l’amore che trattiene l’«Onnipotente che sfama i viventi» (Sal 144, 16) sul patibolo; è l’amore che “rende duro il suo volto”10 nella decisione di andare a Gerusalemme, incontro alla morte. L’amore che è pura gratuità, non mischiato ad alcun interesse personale com’è – almeno in parte – quello dell’uomo. Quell’unico amore in grado di accogliere ogni sofferenza umana, anche quella che rimane avvolta nel mistero e che nessuna ragione riesce a spiegare.
Rif. Letture festive ambrosiane, nella III Domenica dopo la Decollazione di Giovanni Battista
Rif. Biblico online: Bibbiaedu
Fonte immagine: Finestre sull’arte
1 Is 11, 10
2 1Sam 9, 2
3 Gv 10, 11: “Ἐγώ εἰμι ὁ ποιμὴν ὁ καλός”
4 “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” (1Tim 1, 15)
5 Cfr. 1Tim 1, 13
6 Mt 7, 29
7 Lc 9, 21
8 Come sembra suggerirre la sottolineatura presentata da Mt 16, 17
9 Lc 9, 22
10 Lc 9, 51
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