Il bambino
calciò forte il pallone contro la porta della Chiesa. L’atrio dove la notte di
Pasqua si benedisse il fuoco era l’area di rigore,nella porta bronzea tanto cara
al parroco immaginava Buffon, le due statue che s’ergevano a destra e a
sinistra dello stipite erano i due pali. Mancava solo la traversa: ma era
problema di relativa importanza. Qualche ciuffo d’erba al posto dei chicchi di
riso ricordava al passante solitario che da parecchio quella porta non
s’apriva. Anche l’austero gregoriano aveva ceduto il posto agli schiamazzi di
tifosi improvvisati. Solo il bambino, forse inconsciamente, cercava a forza di
cannonate degne del miglior Cassano di non addormentare del tutto quella
chiesa. Non poteva saperlo, ma essendo bambino con un gesto ha dipinto alla
perfezione la situazione attuale della nostra chiesa. Sarebbe l’epigrafe più
bella, se una cosa però non ci fosse d’intralcio nel mettere la parola "chiuso
per fallimento". Un suo coetaneo, mercoledì mattina, aveva usato pure lui il
pallone davanti alla Basilica di San Pietro, ma per appoggiare il mento e
nascondere le lacrime mentre s’alzava un applauso commosso per Giovanni Paolo
II a tre anni dalla sua morte.
Sono
chiese uguali, si prega lo stesso Dio, si canta la medesima speranza…eppure il
trattamento profuma di diversità. Te lo raccontano i bambini. E se lo capiscono
loro, allora è proprio lo stile che trasforma una porta bronzea in porta da
calcio o in finestra che t’affaccia sull’eterna bellezza. Come dar torto? Tra
le navate ci son parole che – direbbe il mio teologo preferito – sono come
"farfalle morte, infilzate nelle vetrine dei vocabolari". Parole distrutte,
logorate dall’uso, incapaci di scaldare il cuore, d’emozionare il respiro.
Parole che suonano come un invito ad uscire dalla chiesa e farti conquistare da
quattro calci al pallone. E ci son parole che, quasi per miracolo, rinascono
continuamente. Parole simili a delle conchiglie dentro le quali risuona la voce
del mare. T’appoggi al loro eco e ti sembra d’entrare nell’Eterno. Chi le
pronuncia – dopo averle declinate in ore di appassionato deserto – è come se
accompagnasse il tuo mento a poggiarsi sul davanzale della storia. Uno su
tutti: Giovanni Paolo II, vecchio poeta che fece del Vangelo la conchiglia più
strana per ascoltare l’anima, allargare l’immaginazione, scrutare l’infinito.
Per me
prete questa è un’indagine sociologica incredibile: è oggi il momento
favorevole per vedere quali parole partorisco quando parlo di Dio dal pulpito.
Verificare
è semplice: a messa si gonfia il pallone o l’anima?