Il libro degli Atti ci mostra all’opera il diacono Stefano, di cui, poco prima, si dice che molti venivano a disputare con lui, “ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava” (At 6, 10).
Incapaci quindi di controbattere, il passaggio successivo è quello di calunniare Stefano, instillando il dubbio che sia un sovversivo.
Viene da pensare che, nonostante siano passati secoli, il procedimento non è affatto cambiato. Così fu fatto con Cristo. Così avviene, ancora oggi: quando l’avversario è troppo forte, non resta altro che calunniarlo, metterlo in cattiva luce, per screditarne la credibilità.
La verità, però, è capace di risplendere al di là dei numeri, della cui forza non ha bisogno. Specialmente nel caso in cui, come per Stefano, la sapienza è un dono di Dio e non una competenza raggiunta ed acquisita in virtù di sforzi ed impegno professionali.
Stefano, alla richiesta di conferma, richiama allora alla memoria l’intera economia di salvezza, partendo da Abramo, Isacco e Giacobbe,
passando per Mosè ed Aronne e dalla liberazione dalla schiavitù in Egitto, ed infine da Davide e da Salomone, per mostrare come il lungo cammino del Dio-con- noi abbia trovato il proprio – perfetto – compimento in Gesù Cristo, il Giusto atteso dalle genti.
Eppure, ancora, per molti è impossibile riconoscere il Cristo.
«Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo!» (At 7, 51)
Questo lo sfogo di Stefano, di fronte all’incomprensione delle Scritture ed all’agire di Dio, nella storia dell’uomo e del mondo.
All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano (At 7, 55).
Fastidio, rabbia, frustrazione. Ricevere la verità, dopo aver trovato solo accondiscendenti menzogne, non è un’esperienza facile da vivere. È come una carezza ruvida. Che, però, ci è necessaria, anche se ci è difficile riconoscerlo. Preferiremmo la dolcezza del miele alla verità, che a volte, si mostra aspra e forte: soprattutto, quando, senza fronzoli, ci pone innanzi la verità su noi stessi. Senza finzioni, senza trucchi, senza inganni, senza tutti quegli stratagemmi di cui ci serviamo per non mostrare la parte più nascosta di noi, ma che abbiamo bisogno di guardare in faccia, quando facciamo verità su di noi.
Stefano riesce a far luce sul buio dell’anima, perché si rende disponibile a quella sapienza, che viene da Dio, «che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria» (1Cor 2, 6-7).
Prosegue san Paolo:
Chi, infatti, conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato (1Corinzi 2, 11-12).
Siamo abituati a valutare le capacità sulla base di quanto è raggiunto, tramite lo sforzo, l’impegno, eventualmente l’entusiasmo. San Paolo ci invita a modificare del tutto la nostra prospettiva. La sapienza è anzitutto un dono da coltivare e donare nuovamente; qualcosa che si riceve, che nasce nella relazione con Cristo, grazie alla quale anche i nostri sensi e la nostra ragione sono illuminati e possono vedere più chiaramente i collegamenti che si creano tra la Scrittura, la creazione e la storia.
Se, allora, la sapienza è un dono ricevuto e non una conquista individuale, ne consegue che questa richieda di essere condivisa, aspirando alla comunione d’amore della stessa Trinità, come sottolinea il Vangelo:
«Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi» (Gv 17, 10-11)
La verità è un’azione pratica, come suggerisce la lettera di Giovanni: va compiuta, non solo detta. E, dimorando nella Verità, anche quando ciò ci fa sedere scomodi. Ci accorgiamo, allora, che, anche così, forse, soprattutto così, nella verità che non ha il plauso del mondo, risiede quella custodia degli uni per gli altri, che ci fa costruire la Chiesa, nel rapporto coi fratelli e con Dio.
Rif. letture festive ambrosiane, nella V domenica di Pasqua
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