mammabambino

Una notte di luna piena, con lo spago di Giuda ancora penzoloni su quel ramo d’albero scelto come porto verso il nulla. L’hanno pizzicata là dietro, frettolosa e ansimante, che stava scegliendo il vestito più bello da indossare. Tutti la pensavano sofferente e rassegnata sotto la Croce; pochi c’avrebbero scommesso che le esili spalle di quell’insopportabile Bellezza di Nazareth avrebbero retto la luce della storia. Era lì sul crepuscolo del giorno, laddove la notte cede il passo all’aurora, a scegliersi la tunica da indossare sulle spalle, i sandali da mettere ai piedi per correre più veloce sull’erba, il filo con cui annodare i lunghi capelli di Nazarena. E nel mentre, ripassava in segreto le parole per poterGliele dire tutte d’un fiato non appena L’avrebbe incrociato il Figlio suo Risorto. Da quella notte le madri nel mezzo dell’angoscia generale allenano la voce per intonare i canti e fare le prove generali per la Risurrezione.

Dicevano addirittura: la povera donna.
E intanto picchiavano suo figlio.
Perchè l’uomo è fatto così.
L’uomo è cosiffatto.
Gli uomini sono come sono e mai li si potrà cambiare.
Lei non sapeva che al contrario lui era venuto
a cambiare l’uomo.
Che era venuto a cambiare il mondo.
Seguiva, piangeva.

(…)

Tutti la rispettavano,
tutti la compiangevano.
Si diceva “la povera donna”.
Perchè tutte quelle persone non erano forse cattive.
Non erano cattive in fondo.
Compivano le Scritture.
Quello che è strano, è che tutti la rispettavano.
Onoravano, rispettavano, ammiravano il suo dolore.
Non l’allontanavano, non la respingevano che moderatamente.
Con delle attenzioni particolari.
Perchè era la madre del condannato.
Lo dicevano anche a voce bassa.
Se lo dicevano, tra di loro,
con una segreta ammirazione.

(…)

Di mille accoglienze fu protagonista questa Donna alla quale stamane tutto il mondo Le deve il grazie più commosso: per averci creduto fino alla fine. I Vangeli – le cui parole vacillano quando il soggetto è Lei – raccontano che a casa di Maria o tra le sue braccia di donna tutti erano a loro agio: dalle vicine di casa alle vecchie compagne di Nazareth. Dai parenti di Giuseppe, agli amici di gioventù di suo figlio. Dai poveri della contrada, ai pellegrini di passaggio. Da Pietro in lacrime dopo il tradimento, a Giuda che forse quella notte non riuscì a trovarla in casa. Ma non per questo smarrì il sospetto d’avvertire il cuore di quella Madre attendere il suo ritorno al Cenacolo. Protagonista di mille accoglienze e di un ritorno ch’è valso la speranza per tutti: perché le donne custodiscono le porte della natura che fabbrica vita e reclama amore: “Mamma, perché cerchi tra i morti Colui che è vivo?” (Lc 24,5). Eppure di Lei nessun evangelista aveva osato tratteggiare accenno alcuno: l’avevamo lasciata lassù qualche ora fa, sotto il peso di quella Croce infame e infamante. Lasciata lassù e poi noi, come talpe coraggiose, ci siamo tappati nei nascondigli perchè dopo il Pastore non ne facesse le spese pure il gregge. Noi nascosti, Lei viandante colorata, così semplice da immaginare e pitturare. Qualche ruga perché da tanto tempo non conosce il sonno, perché nei suoi unguenti c’erano più lacrime che mirra e aloe, perché il panno per asciugare il volto del Figlio era cucito di silenzio. E in quello sguardo che accarezza il vuoto del sepolcro se ne sta racchiusa una vita di sogni, di attese e di fatiche: “No, credere a Pasqua non è / giusta fede: / troppo bello sei a Pasqua! / Fede vera / è il venerdì Santo/ quando Tu non c’eri / lassù!/” (Turoldo, Canti ultimi).
Quando compiono gli anni i bambini si augura loro buon compleanno; ma c’è anche chi quel giorno fa gli auguri alla mamma, l’arnese di Dio senza il quale la vita sarebbe rimasta lo scarabocchio ideato in una notte di luna piena. Lui e Lei, la Mamma e il suo Bambino, la Croce e la Gloria. La loro storia è così semplice da essere diventata così ostica all’intelligenza. Parlano solo della vita con parole che tratteggiano la vita. Di Lui è rimasta traccia nei Vangeli: coglie dei pezzi di terra, li raduna nella sua parola e compare il cielo. Un cielo con alberi che volano, agnelli che danzano, pesci che ardono. Un cielo popolato di prostitute, di follie e di festaioli, di bambini che scoppiano in risate e di donne che non tornano più a casa. Tutto un mondo dimenticato dal mondo. Lui e Lei camminano senza sosta: vanno qui e poi là. Trascorrono la propria vita su circa sessanta chilometri di lunghezza, trenta di larghezza. E camminano, senza sosta, con cuore di bambino che odora di vento. Il cuore che non fa distinzioni tra il virtuoso e la canaglia, il mendicante e il principe: si rivolgono a tutti con la stessa voce solare, come se non ci fosse né virtuoso, né canaglia, né mendicante, né principe. Ma solo la nostalgia della Vita che risorge.

Seguiva, piangeva, non capiva molto bene.
Ma capiva molto bene che il governo era contro il suo ragazzo,
e questo è un brutto affare.
Che il governo era per metterlo a morte.
Sempre un brutto affare.
E che non poteva finire bene.
Tutti i governi s’erano messi d’accordo contro di lui.
Il governo dei giudei e il governo dei romani.
Il governo dei giudici e il governo dei preti.
Il governo dei soldati e il governo dei preti.
Non ne sarebbe scampato certamente.
Certamente no.
Tutti erano contro di lui.
Tutti erano per la sua morte,
per metterlo a morte,
volevano la sua morte.
A volte si aveva un governo dalla propria parte,
e l’altro contro di sé:
Alora si poteva scampare.
ma lui tutti i governi,
tutti i governi per prima cosa.
E il governo e il popolo.
E’ quanto c’era di più forte:
era questo sopratutti che aveva contro di sé:
il governo e il popolo,
che di solito non sono mai d’accordo.
E allora si approfitta,
si può approfittare.

(…)

Ma loro non avevano fortuna.
Lei vedeva bene che tutti erano contro di lui.
Il governo e il popolo.
Insieme.
E che l’avrebbero avuto.
Tutti erano contro di lui.
Tutti volevano la sua morte.

(…)

Sicuramente non se la sarebbe scampata.
Quando si hanno tutti contro di sé.
Cosa avrebbe dunque fatto a tutti? Ve lo dirò:
aveva salvato il mondo.

(Ch. Péguy, Il mistero della carità)

Michelangelo ne tentò l’ardita sfida di scolpirla nel marmo quella storia d’amore. Ciò che gli riuscì fu un capolavoro; ancor poco, però, al cospetto della realtà. “Raccontaci, Maria – s’incuriosisce la liturgia in un’antica sequenza -: che hai visto sulla via?” E lei, donna del venerdì santo, dà voce a giorni di partoriente attesa: “La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto. Cristo mia speranza è risorto; e vi precede in Galilea”.
La strada è lunga solo per chi non va in fondo ai propri sogni. Buona Pasqua: Cristo è davvero risorto!

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