(S)punti di vista

Cristo, uomo vero

più ci convinciamo di non avere peccato, più esso si radica in noi, si avvinghia con persistenza alla nostra quotidianità, diventa non più un’occasione di peccato ma un modo di essere, di vivere e di pensare, fino a diventare come una malerba che infesta il giardino della nostra interiorità, inquinando la capacità della nostra coscienza di esaminarci rettamente.  Essere anziani non è – automaticamente – sinonimo di saggezza.
Ogni anima aperta al soffio dello Spirito, può diventare alleato fecondo, nel cammino verso Dio.

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Universalità e inutilità

Nella Chiesa, nessuno – neppure un eremita – può considerarsi un’isola, ma ogni cosa avviene per l’edificazione reciproca. Abolito il sacerdozio di Aronne, ciascuno di noi è re, sacerdote e profeta: nei consigli evangelici, qualcuno è solo chiamato a vivere con radicalità il Vangelo. In un’inutilità feconda

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Famiglia: tra (supposto) anacronismo e profezia

Famiglia. Quasi un anacronismo, se pensiamo ai nostri giorni, in cui vediamo i matrimoni (in particolare, cattolici) in vertiginoso calo e una visione socio-politica  che ci offre uno sguardo sempre più pessimista, verso coloro che, andando controcorrente, hanno il coraggio di mettere al mondo dei figli. Ma se guardiamo lattualità in cerca dei segni dei tempi, possiamo scorgere la profezia di una festa che racconta qualcosa di profondamente umano. Senz’amore, viviamo nell’illusione di poterci dominare come un animale alla catena. Ma le catene più efficaci sono sempre quelle dell’amore. Come un “ti amo” aiuta più di mille sermoni, perché, quando sincero, rimane impresso sotto pelle, come un tatuaggio indelebile, così, la Parola di Dio, in un cuore disposto ad accoglierla, penetra  più di una lama a doppio taglio. erché, se la Parola, in Cristo, si è fatta carne, già in questo abbiamo l’attestazione più concreta che “Dio è amore” (1Gv) e che è nello sguardo reciproco con cui condividiamo la nostra umanità che un riflesso dell’amore di Dio può risplendere nel mondo.

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Voi stessi. Da mangiare.

“Date loro voi stessi da mangiare”(Lc 9,13)
L’invito non è (solo) a trovare cibo per una moltitudine, una volta constatatone lo stomaco brontolante. Va oltre. Paradossalmente, il Dio-fattosi-uomo, ci invita a rientrare nel nostro essere uomini, a sentirci uomini-tra-gli-uomini, condividendone gli affanni. Se l’idea dei discepoli è di annunziare il “rompete le righe”, perché ognuno si organizzi per conto proprio, Gesù la vede in modo ben diverso. Non solo si interessa dell’integrità dell’uomo, che comprende anche stomaco e visceri, insieme con desideri, aspettative, angosce, aspirazioni, timori: intende condividere l’essere uomini, invitando anche noi a fare lo stesso.

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Ascoltare. Bene. Sempre!

«L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio» scrive Etty Hillesum. Oggi come allora. Oggi, come Mosè a Meriba, siamo chiamati a collaborare con la grazia, fidandoci della novità della Parola che s’incarna, ogni giorno.

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Immersione di Dio, emersione dell’uomo

C’è un sangue che ci unisce e ci rende fratelli, non di sangue, ma in modo ancora più profondo, nel quale è possibile annegare ogni nostra inimicizia ed ostilità. È il sangue di Cristo, “nostra pace” (Ef 2,14). In lui, possiamo diventare fratelli, in quanto “figli nel Figlio”. Un Figlio che s’immerge Dio nel Giordano, per imparare a diventare uomo, sulle strade del mondo.

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