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La vecchia campana suona il rintocco della mezzanotte: a Padova ogni casa è già chiusa nei suoi amori. Sulla mia scrivania ci sta scarabocchiato un promemoria, ultima cifra di una giornata di pensieri. E’ per te, carissimo amico Magdi Cristiano. Te la devo come segno di un’amicizia profonda e sincera, contrassegnata da incontri e scambi di confidenze, da stupori e fatiche. Oggi termina la tua avventura dentro la Chiesa (*) e per me è un giorno triste; non tanto per la tua scelta – nel sacrario della coscienza sono certo ci possa poggiare lo sguardo solo Lui – ma perché forse come prete non sono riuscito a mostrarti una sua ragionevolezza dietro la confusione, un suo ordine dietro il caos, un profumo di amore dietro il sospetto di piccoli e grandi tradimenti. La tua conversione quel giorno ebbe i connotati della sfida dentro e fuori l’istituzione ecclesiale: oggi i toni si sono inaspriti e, forse, è terminato pure un idillio che s’immaginava diverso. Da amico rispetto la tua scelta, da fratello in Cristo oggi, però, mi sento un po’ più solo nelle mie battaglie. Di una cosa però sono sicuro: la tua uscita rafforza in me la voglia di starci dentro a questa vecchia anticaglia polverosa ma divina voluta dal Cristo dei Vangeli.
La tentazione di uscire dalla Chiesa visibile è un rischio accorso a personalità giganti nel corso dei secoli; una tentazione, però, vinta da un amore più grande nei confronti di una Chiesa che amavano a tal punto da sopperire al fatto che essa non fosse quella dei loro sogni. Nel 1921 Romano Guardini faceva una constatazione piena di speranza: è incominciato un processo di grande portata, la Chiesa si ridesta nelle anime. Oggi sembra vero il contrario: è in corso un processo di grande portata, la Chiesa si spegne nelle anime. Come vedi la sfida per ogni credente pensante rimane la stessa, ed è racchiusa in una domanda: “perché io rimango ancora nella Chiesa?” Joseph Ratzinger, prima ancora di diventare Benedetto XVI, accendeva la sfida: “al posto della sua Chiesa è subentrata la nostra, e con essa le molte chiese; ognuno ha la sua. Le chiese sono diventate imprese nostre, di cui ci vantiamo oppure ci vergogniamo, piccole e innumerevoli proprietà private disposte una accanto all’altra, chiese soltanto nostre, nostra opera e proprietà, che noi conserviamo o trasformiamo a piacimento. Dietro alla “nostra Chiesa” o anche alla “vostra Chiesa” è scomparsa la “sua Chiesa”. Ma è proprio e soltanto questa che interessa; se essa non esiste più, anche la ‘nostra’ deve abdicare. Se fosse soltanto la nostra, la Chiesa sarebbe un superfluo gioco da bambini” (J. Ratzinger, Perché sono ancora nella Chiesa, Rizzoli, 2008). Ci sono sere che anch’io mi dico: “basta, domani ti abbandono, Chiesa mia. Mi hai deluso!”. Poi la mattina mi alzo e sposto la resa perché credo che oggi come ieri, dietro alla nostra Chiesa vive la sua Chiesa e che io non posso rimanere vicino a Lui se non rimanendo nella sua Chiesa. Rimango nella Chiesa perché, nonostante tutto, non è assolutamente nostra ma sua. Quanto aveva ragione lo scrittore Bernanos:

Ci si rammarica che un cardinale sia riconoscibile da tanto lontano per la sua bella cappa scarlatta, mentre un santo, durante la vita, non si distingue per nessun particolare abito. Non è giusto ragionare come se la Chiesa visibile e la Chiesa invisibile fossero in realtà due chiese, quando invece la Chiesa visibile è quello che noi possiamo vedere della Chiesa invisibile, e questa parte della Chiesa invisibile varia con ognuno di noi. Perché noi conosciamo tanto meglio l’umano che c’è in lei quanto meno siamo degni di conoscere il divino che esiste in lei. Diversamente, come spieghereste una bizzarria come questa: che i più qualificati a scandalizzarsi dei difetti, delle deformazioni o anche delle difformazioni della Chiesa di Dio – voglio dire i Santi – sono quelli che non si lamentano mai?
Sì, la Chiesa visibile è ciò che ognuno di noi può vedere della Chiesa invisibile, secondo i propri meriti e la grazia di Dio. E’ troppo bello dire: “Vorrei vedere ben altro e non ciò che vedo”. Oh, certo, se il mondo fosse il capolavoro d’un architetto scrupoloso della simmetria e d’un professore di logica, di un Dio deista, insomma, la Chiesa allora ci darebbe lo spettacolo della perfezione, dell’ordine; la santità in essa sarebbe il primo privilegio del comando e ogni grado della gerarchia corrisponderebbe a un grado superiore di santità, fino al più santo di tutti, il nostro Santo Padre, beninteso. Suvvia! Vorreste una Chiesa così? E vi sentireste a vostro agio?
Non fatemi ridere. Invece di sentirvi a vostro agio, rimarreste sulla soglia di questa congregazione di superuormini rigirando il vostro berretto tra le mani, come un povero straccione sulla porta del Ritz o del Claridge.
La Chiesa è una casa di famiglia, una casa paterna, e nelle case di famiglia c’è sempre un po’ di disordine, le sedie talvolta mancano di un piede, i tavoli sono macchiati d’inchiostro e le scatole di marmellata si svuotano da sole nelle dispense; queste cose le so, ne ho esperienza.
(George Bernanos, Rivoluzione e libertà)

E poi ci rimango perché nel suo grembo ci sono storie di martirio e di sangue, che sono i colori dall’amore e della passione. Presenze lasciate da Cristo come tracce “per illuminare coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte” (Lc 1,79). A volte li penso nelle mie notti insonni e mi dico: “loro sì che avrebbero avuto motivi per andarsene. Eppure non l’hanno fatto”. Le loro biografie raccontano la densità della loro sofferenza ma, nonostante essa, non sono diventati acidi e nemmeno imbronciati. Sono rimasti umili, di quell’umiltà che di loro fece scrivere a Hans Urs Von Balthasar parole dolcissime: “I santi sono umili: vale a dire, la mediocrità della Chiesa non li scoraggia a solidarizzare definitivamente con essa; perché sanno bene che senza la Chiesa non troverebbero la strada che li porta a Dio. Essi non cercano di conquistarsi le grazie di Dio di propria iniziativa, scavalcando la Chiesa di Cristo. Combattono la mediocrità, non con la contestazione ma stimolando, contagiando, accendendo i migliori” (H.U. von Balthasar, Punti fermi, Rusconi, Milano 1972, 329-332). Gente che non ha creato conventicole ai bordi della piazza, ma ha fatto splendere il proprio fuoco al centro. Loro mi hanno insegnato che, nonostante tutte le debolezze umane, la Chiesa ci dà Gesù Cristo: soltanto per mezzo suo io posso riceverlo come una realtà viva e potente, che mi arricchisce e insieme mi pone dei doveri. Coloro che accettano ancora Gesù pur rifiutando la Chiesa, non sanno che in ultima analisi è da questa che essi ricevono Cristo? Gesù è per noi una persona viva; eppure senza la continuità visibile della sua Chiesa, sotto quale cumulo di sabbia non sarebbero stati sepolti non soltanto il suo nome e il suo ricordo, ma anche la sua influenza vitale, l’efficacia del vangelo e della fede nella sua persona divina? Senza la Chiesa, Cristo dovrebbe darsi alla fuga, disgregarsi, scomparire. E che cosa sarebbe l’umanità se le si togliesse Cristo?
C’è una pagina stupenda del teologo H. De Lubac (il quale, sia detto per inciso, ha sofferto per la Chiesa ma anche dalla Chiesa) nella quale scansa un’obiezione che gli viene mossa: “Voi dipingete la Chiesa soltanto in bellezza, voi la contemplate in ideale quale dovrebbe essere, quale Dio la vuole, quale è nei vostri sogni”. Risponde così: “Niente affatto. Io la mostro, e ancora molto male, quale è nel suo mistero, cioè nella sua realtà più reale, ma agli occhi della fede. Io non nego le miserie d’ordine vario, morale o d’altro, che in ogni tempo l’hanno afflitta e che l’affliggono oggi in ciascuno di noi. Io le affermo, io le proclamo, io ne enuncio il paradosso e lo scandalo inerente alla sua missione stessa. Ma descrivere questa miseria minutamente, mettere in mostra le sue piaghe non farebbe avanzare minimamente la conoscenza del mistero della Chiesa (…) E poi la Chiesa siamo tutti noi, sono io stesso; con quale diritto mi metterei fuori dal quadro? Io, peraltro, non ho nessuna voglia di fare la mia confessione pubblica” (H. De Lubac, Nuovi paradossi, Paoline, Alba 1964, 136-137).
Stasera, carissimo Magdi Cristiano, mi sento un po’ più solo: un fratello ha deciso di scendere dal treno dell’avventura cristiana. Tu scendi, io resto: quale istituzione potrebbe mai raccontarmi la notizia buona di un Dio che ci chiama vergini anche quando siamo di ritorno dall’ennesima prostituzione, nel corpo e nello spirito? Senza di lei, tra l’altro, non avrei mai sentito parlare di Gesù Cristo: basterebbe questo per rimanerle vicino per sempre e dirle continuamente grazie, come uno smemorato bambino. Mi piace stasera addormentarmi rileggendo le parole di Carlo Carretto. Anche lui si pose questa domanda – “perché rimango nella Chiesa?” – e ci diede questa risposta: “Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo Papa. Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità. No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una roccia così debole, perché ne fonderei un’altra su una pietra ancora più debole che sono io”.
Il mistero sta tutto qui: questo impasto di bene e di male, di grandezza e di miseria, di santità e di peccato che è la Chiesa, in fondo sono io. Per questo stasera non fuggo dalla Chiesa: in fondo è come se tentassi di fuggire dalla mia avventura di uomo.
Con l’occasione ti auguro una Buona Pasqua. Pensa se davvero la storia non gioca brutti scherzi: cinque anni fa nella Notte più colorata del popolo cristiano diventasti cristiano, dopo cinque anni – nel mentre si sta preparando quella medesima notte – abbandoni la Chiesa. Temo davvero che il Diavolo faccia sempre e solo brutti scherzi. O meglio: scherzi del Demonio.

Ti voglio bene, fratello Magdi Cristiano.
Tu fuori prega per me. Io dentro prego per te!

don Marco Pozza

(da L’Altopiano, 30 marzo 2013)


(*) L’annuncio dato da Magdi Cristiano Allam: “Perché me ne vado da questa Chiesa debole con l’Islam” (www.ioamolitalia.com)

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