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Non dovrebbe esserlo, eppure rischia di diventare un ossimoro il tema della Giornata per la Vita 2019, che si è celebrata questa domenica, come ogni prima domenica di febbraio.
È vita, è futuro.
In un Occidente che è piombato nel più cupo inverno demografico, dove si moltiplicano i ristoranti od i luoghi pubblici child-free, dove si arriva a consentire leggi degne del miglior Torquemada che consentano il grande inganno dell’aborto a nascita parziale, come nella legge da poco approvata nello stato di New York (perché, parliamoci chiaro, dal punto di vista medico, tale pratica non è, né può essere chiamata interruzione di gravidanza, perché, piuttosto, si tratta dell’assassinio di un bambino che, fuori dal ventre materno, avrebbe tutte le possibilità di sopravvivere), ha – assolutamente – il sapore di un ossimoro.
Anche in Italia, tuttavia, non siamo certo immuni dalla cultura della morte: ne sono testimonianza i clochard bruciati vivi, com’è capitato in provincia di Verona, a cui persino la giustizia sembra incapace di dare valore dopo la morte, dopo che il Male ha mostra la sua faccia di banalità nella motivazione del gesto compiuto dai due minorenni: la noia. È bastata quella a spezzare una vita umana.
«Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,19).
Ci sono talmente tante notizie del mondo, che vengono da una cultura mortifera, che c’è solo l’imbarazzo della scelta. Forse, però, risulta più utile diffondere due contronotizie di amore alla vita, piuttosto che diffondere parole di disperazione e di morte.
La prima viene dall’Italia, riguarda Aurora ed è stata raccontata dalla stessa protagonista, durante la Festa diocesana per la Vita, organizzata dall’arcidiocesi di Udine dell’anno scorso, di cui è stata ospite insieme con Nicole Orlando. Si tratta di una ragazza che nasce già in una situazione familiare difficile: non conosce il padre e sua madre la lascia alla nonna quando aveva un anno di età. A dodici anni rimane incinta, ma si accorgono tardi (il figlio che porta in grembo è ormai di tre mesi e mezzo), perché durante il primo mese di gravidanza aveva avuto ugualmente il ciclo. In realtà, per gravi motivi psicologici, data la giovanissima età, l’aborto è ancora possibile. Nonostante abbia tutto il mondo contro (persino la nonna, contraria all’aborto, è convinta che l’aborto sia il vero bene della piccola Aurora, ancora una bambina, con un figlio in grembo), la ragazzina, nel colloquio con il neuropsichiatra, è decisa: «voglio crescere quel bambino». Oggi ventenne, vive ancora al CAV di Forlì con Stefano, che ora ha 7 anni (testimonianza che gli aiuti, pur tra mille difficoltà, per cui vuol dare fiducia alla vita, ci sono), spiega: «Allora ero ribelle e trasgressiva, un colpo di testa dopo l’altro… ma il mio bambino è stato il colpo in testa mandato dal Cielo per salvarmi. Senza di lui oggi sarei sicuramente alla rovina». Un paradosso, per i benpensanti. L’ennesima riprova che, alle volte, il buon Dio riesce a scrivere diritto persino sulle righe più storte.
La seconda contronotizia arriva, invece, dal continente americano e riguarda un ballerino. Senza gambe e senza braccia. Com’è possibile? La storia di Gabe Adams è molto particolare e vale la pena di essere raccontata, perché – vi dirò – ha stupito progressivamente anche me, perché, leggendo la sua storia qualche anno fa, quando aveva 6 anni, mi dicevo “sì, ma poi, quando crescerà, avrà altri problemi che ora non ha”. Ve lo anticipo subito. Gabe ha ora 19 anni ed è una forza della natura, anche grazie all’aiuto della sua famiglia che, fin da subito, lo ha motivato con un ritornello incalzante che a qualcuno, ed a lui stesso, inizialmente sembrava una perfidia: «I can do it, I can do it by myself» («posso farlo, posso farlo da solo»). Sembra una perfidia dire una cosa simile ad un bimbo senza gambe e senza braccia, l’istinto materno, l’empatia forse tendono a farci pensare che dobbiamo aiutarlo. E, in effetti, questo è il primo pensiero dei genitori adottivi. Sì, perché come spesso accade in questi casi, Gabe è stato lasciato in ospedale dalla madre che lo ha messo al mondo, in Brasile. Ma, facendo questo, gli ha fatto un dono enorme. Ha mosso il cuore dei genitori che lo hanno cresciuto, che, ancora prima di andarlo a prendere in ospedale e portarlo a casa, gli avevano già fatto un enorme dono (Gabe è infatti cresciuto con altri 9 fratelli e 4 sorelle); inizialmente preoccupati di come avrebbero potuto crescere e cosa avrebbero potuto fare per lui, si sono resi conto di quanto Gabe abbia portato nella loro famiglia: la sua determinazione per avere una vita autonoma ed appagante, è un insegnamento per chiunque lo incontri. In realtà, proprio l’incoraggiamento a fare da solo, secondo la modalità resa dalla sua condizione, è stata la strategia vincente, affinché Gabe potesse crescere, affrontando con entusiasmo le mille sfide che la vita gli poneva davanti. Oggi è laureato, danza in performance di gruppo e da solista ed è speaker motivazionale. Ogni volta che vi verrà da pensare che non potete essere felici, perché manca qualcosa alla vostra vita, ricordatevi di Gabe e provate a pensare che, forse, quello che vi manca, in quel momento, è uno sguardo di bellezza sulla vostra vita.

Forse, qualcuno obietterà che sono due storie-limite. Io dico che sono la testimonianza che il vero limite è tutto nella nostra testa, quando siamo incapaci di vedere la Bellezza, nel momento in cui essa non è evidente.

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Fonte immagine:
Pixabay


Per approfondire:
Gabe Adams
Gabe Adams – Linkedin
Aurora – testimonianza Vatican News
Aurora – Avvenire
Giornata per la vita 2019 – Famiglia Cristiana
Sindrome di Hanhart
Nick Vujicic, predicatore motivazionale cristiano con la sindrome di Hanhart

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