Discussioni aspre, parole ruvide, minacce terribili (“Guarda che lo dico alla mamma!”): non è forse così, che, in famiglia impariamo, o forse dovremmo imparare un’importantisssima arte, che ci accompagnerà per tutta la vita: l’arte del litigio, che altro non è se non la capacità di trasformare nervosismo, collera e contesa in nuove opportunità, ancora da sperimentare e valutare.
Opportunità inconoscibili a chi, praticante attivo della diplomazia, rifiuta di prendere parte a qualsiasi querelle, preferendo, ove possibile, l’astensionismo come “filosofia del quieto vivere” e, su imitazione di quel Pilato passato alla storia per la volontà di accontentare tutti e non dare noia a nessuno, rifugiandosi talvolta in un modo di fare relativista, nel tentativo appunto di non avere guai e di non turbare la propria quotidiana routine.
Chi si comporta in questo modo è però generalmente visto sotto una luce molto positiva, in quanto è considerato “persona non impegnativa, che non crea problemi”. Ma, forse, nemmeno li risolve…
Al contrario, chi si espone, prende una posizione, la mantiene e la afferma con forza, è spesso considerato un polemico, un attaccabrighe… in poche parole, un gran rompiscatole!
Forse, però, non vengono considerati a sufficienza gli indubbi vantaggi garantiti da qualche sano litigio.
Partiamo da una premessa. Litighiamo o, quanto meno discutiamo animosamente, solo con le persone con cui abbiamo una relazione piuttosto profonde, persone che stimiamo e a cui vogliamo bene. Per fare un esempio banale, nessuna persona normale si sognerebe di impuntarsi in una discussione “impegnata” con un vicino di casa. Riteniamo generalmente che con i conoscenti sia più che sufficiente un atteggiamento vicendevolmente rispettoso e un comportamento cordiale ed educato. Oltre, ci parrebbe quasi fuori luogo, eccessivamente affettato, quasi di cattivo gusto.
Con le persone a cui teniamo, siamo invece disposti, se le amiamo veramente, addirittura a perderle, se necessario, a patto che conoscano il vero alto di noi stessi, ciò che ci caratterizza davvero, le nostre idee, i nostri sogni ed aspirazioni. Quello per cui, appunto, siamo disposti.
Scommetto, del resto, che a tutti sia capitata almeno una volta la delusione di scoprire, parlando per la prima volta di un determinato argomento con una persona con cui si è generalmente in confidenza, che essa non condivide idee che per noi sono – al contrario – di vitale importanza.
Talvolta luogo d’incontro (anche) d’idee diventano i social network, i blog o altre piattaforme virtuali. Purtroppo, pare che in queste forme di comunicazione si esasperi il peggio di noi, che – per altro, non è raro scorgere anche in semplici diverbi sui mezzi pubblici o per la strada: conversazioni inacidite, aggressioni verbali, fino ad arrivare a insulti e minacce, spesso per motivi decisamente futili. Sembra quasi che ogni occasioni sia terreno buono per offendere: ecco, allora, che il confronto scema e si ha la tendenza a rinchiudersi in gruppetti in cui riconoscersi, non osando esporre le proprie argomentazioni ad altri, per timore di sentirsi denigrati.
Pare che abbiamo perso la bellezza di discutere, magari in modo deciso e convinto, senza necessariamente recedere dalle proprie convinzioni, anche di fronte a un interlocutore che ha un punto di vista opposto al nostro. Questo confronto, per acceso che possa essere, potrebbe rivelarsi una fantastica opportunità per mettersi alla prova e approfondire le proprie motivazioni e quelle altrui.
Pochi però sono disposti.
Molti tendono a non dire mai la propria vera opinione, per non esporsi troppo. Alcuni non dialogano, perché puntano solo ad esporre le proprie idee e, dopo averlo fatto, non ascoltano le controproposte. Altri ancora, non perdono occasione per fare sfoggio della propria cultura, pur di denigrare gli altri.
Tutti modi diversi di intendere una discussione. Ma tutti modi che assicurano la perdita di una grande occasione di crescita, attraverso il confronto schietto, l’ascolto e la comprensione.
Nella consapevolezza che una discussione può essere arricchente anche quando nessuno dei due conclude con un “hai ragione”.
La vera opportunità non è quella di convincere l’altro, ma quella di aver approfondito la sua conoscenza, aver compreso come ragiona, come pensa, cosa è importante per lui.
Temo che tante occasioni rimangano perdute perché, troppo spesso, preferiamo mantenere un rapporto sulla superficialità, sull’abitudinarietà di appuntamenti fatti di chiacchiere frivole – senza dubbio piacevoli e non condannabili, in sé – ma che, di fatto, si dimostrano ostacolo predisposto dalla nostra paura di attirarci inimicizie se ci mostriamo per come siamo davvero, oltre alla maschera che il mondo vuole indossiamo per avere sempre una faccia “divertente” anche quando siamo stanchi, spossati, angosciati, preoccupati, pensierosi.
A volte, l’autenticità, passa anche da una certa, confidenziale ruvidezza.