Come canzoni stonate. Suoneranno alla porta di casa o più semplicemente t’incroceranno sulla via del paese e ti diranno: “buon anno! Che si realizzino i tuoi sogni”. Te lo diranno coloro che erano davvero convinti che il 21 dicembre accadesse la fine del mondo; e allora ti chiedi che senso avranno gli auguri fatti da coloro che già s’erano preparati ad una fine funesta. Gente terrorizzata del tempo che scorre, angosciata quanto basta da profezie che i secoli hanno decretato menzognere ad oltranza, spaventata da un presente carico di nebbie e di fumi d’Oriente. Costretti a dire buon anno perchè lo impone il mondo e le circostanze, le formalità e i mille riti di gente condannata a fare festa controvoglia. E se oserai loro dire che i Maya hanno fallito, troveranno mille scuse per spiegarti che la profezia è solo spostata, che i loro calendari erano leggermente sfasati, che la fine del mondo arriverà per davvero a febbraio. Poi li guardi e provi estrema compassione di quegli sguardi incapaci di gustare l’attimo presente, a corto di quella bellissima capacità si sperare che ci fa alzare ogni mattino convinti che il bello è ancora in procinto di arrivare: perchè avere paura del tempo è come pagare una morte in comode rate quotidiane. Fin quasi a correre il rischio di morire nuovi di zecca sulla soglia dell’Eternità.
Con i piedi per terra nessuno quest’anno formulerà un augurio di siffatta menzogna. Perchè tutti sappiamo l’anno che c’attende tra carnevalate e promesse, menzogne e mezze verità, bugie di basso profilo e posti di lavoro sbattuti nel dimenticatoio. Un anno in cui ci sarà da rimboccarsi le maniche e turarsi le orecchie, continuare a faticare e spendersi per i grandi ideali, sopportare i pachidermi ottuagenari e incoraggiare le farfalle ventenni a non emigrare. “Che si realizzino i tuoi sogni”: un augurio beffa formulato da chi complica la sorte degli uomini e delle donne, da chi gioca col bene comune e irride la speranza di una comunità, da voci di rauchedine e di spietato cinismo. Hanno fallito i Maya e con essi tutta quella tribù di gente che fa leva sulla paura dell’animo umano per impossessarsi delle menti fragili e timorose. Perchè augurare un anno di tali menzogne equivale ad offendere il faticoso incedere della gente comune nell’intricato labirinto della storia.
Tutti ad attendere il 21 dicembre come fine della storia; io ho preferito fare il conto alla rovescia per il 25 dicembre come primo giorno di una storia nuova. E con me una sterminata folla di gente assetata di speranza e di bellezza. Queste saranno voci che formuleranno l’augurio più bello: “buon anno! Che nessuna sconfitta ti scoraggi”. Ed è un augurio di sincerità e di passione per l’uomo: nessuna scoperta è avvenuta al primo tentativo, ma la maggior parte di esse è arrivata in calce a centinaia di tentativi andati a vuoto. Fallimenti colossali che non sono però riusciti a spegnere la passione e la costanza di chi in essi sapeva scorgere possibilità nuove per il mondo e la storia. Appena fuori dalla grotta di Betlemme, in quel campo di pastori popolato di stelle e di freschezza, fu questo l’augurio di un popolo agganciato al volto di un Bambino celeste: “che nessun Erode possa mai spegnere la bellezza che arde nel tuo cuore”.
S’apre un anno, s’illumina il palcoscenico, s’inaugura una nuova possibilità di fare un passo in avanti. Con un augurio ch’è tutto il contrario di quelli ripetuti da secoli: “buon anno. Che dopo ogni fallimento tu possa ritrovare l’ardire di ritentare la sfida”. Perchè in ogni giorno abita la gioia di una nuova ripartenza. In barba a chi, vestito di pelli e rimbombante di sandali, è ancora lì ad attendere la fine del mondo. Truccato di veleni e profumato di stanchezza.
“Questo è quel pergolato
e questa è quell’uva
che la volpe della favola
giudicò poco matura
perchè stava troppo in alto.
Fate un salto,
fatene un altro.
Se non ci arrivate
riprovate domattina,
vedrete che ogni giorno
un poco si avvicina
il dolce frutto;
l’allenamento è tutto” (G. Rodari)