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Si chiude tutto. Tutto finito: si torna a casa. Col passo lento e riluttante di chi s’è visto frantumare il sogno di una vita: da Gerusalemme – terra d’attesa, di trepidazione e di delusa aspettativa – verso Emmaus, il paese del daffare quotidiano, la terra da dov’erano partiti, la vecchia vita di mille giorni addietro (liturgia della III^ Domenica di Pasqua). Forse sellai, o cammellieri, o portatori d’acqua: più semplicemente uomini d’anonima ferialità, scottati da un brutto sogno che ora li lascia a cuocersi sulla delusione. A Gerusalemme tutto è esagerato: il baillame, il baccano, la cronaca. L’abbandonano e s’incuneano lungo il sentiero che conduce ad Emmaus: la casa dove tutto è piccolo, familiare, protettivo.

Cleopa e il compagno erano due buoni giudei, di quelli che lasciavano un posto all’ideale nel loro spirito, ingombrato di sollecitudini, molto reali. Anche loro aspettavano la venuta d’un liberatore. Un Messia guerriero, flagello di nemici… Quella fine infamante senza resistenza e senza gloria era troppo in contrasto con quello che si aspettavano. Che il Messia fosse finito sul patibolo era una delusione troppo forte. Erano tentati di supporre che s’era ingannato sulla vera natura dell’esser suo. Quella morte prendeva l’aria di un fallimento. (G. Papini, Storia di Cristo)

Se ne stanno andando e Lui li raggiunge: il Cielo non rifugge dalle sue responsabilità. E tanto meno accetta che ognuno rincasi nella sua Emmaus col cuore affaticato di chi s’è visto deludere il batticuore. Non l’ha permesso a Tommaso: ardeva anche a Iddio il cuore d’incontrarlo, non solo al discepolo titubante. Otto giorni e l’incontro successe: perchè il cuore di Tommaso non fosse senza gioia. Non lo permise in quel frastornante rintocco di passi verso Emmaus: s’accostò, finse di non saperne nulla, accerchiò la loro delusa narrazione e accettò di sentirsi rinfacciare il timore d’essere stati imbelli nell’aver dato fiducia ad un cantastorie. Non s’arrabbia, non s’incapponisce, non tiene il muso a quei due viandanti tristi e solitari: semplicemente s’accorge che anche loro non hanno capito. S’immaginavano dell’altro, lo immaginavano un Altro, s’attendevano tutt’altro Messia: non in groppa ad un asino, a carponi col bacile dell’acqua, nudo sul Calvario a farsi sbeffeggiare dall’intera storia di quaggiù. Semplicemente s’aspettavano l’avvento di una forza disumana, che spezzasse il giogo che gravava sui loro cuori, che allontanasse quel fastidioso sospetto d’essere in balìa dell’arroganza umana. Loro svuotano il sacco, Lui ascolta e – magari con qualche cenno di capo – fa come cenno di continuare, di raccontare, di raccontarsi. Com’è imbarazzante Cristo quando cammina fianco a fianco e gli occhi son incapaci e tardi nel riconoscerlo.

Essi, studiando il libro Santo, lo avevano capito male. Gesù lo sapeva. La cura stava nell’adoperarsi affinchè comprendessero come doveva essere capito. Perciò il richiamo delle profezie e delle figure messianiche, il loro collegamento con i fatti della vita di Gesù, la loro retta interpretazione vennero irradiando una luce sempre più chiara nella loro mente, creando una situazione sempre più solida nel loro cuore.
(G. Nosengo, L’arte educativa di Gesù. Gesù modello dei catechisti, degli insegnanti e degli educatori)

Poi rilancia l’avventura. E compie il miracolo oiù ardito, quello d’infiammare gli animi affranti e di far battere i cuori affaticati: mostrando loro come la Croce non fu una cosa incidentale, un fatto di cronaca antipatica. Quel Luogo del Cranio – freddo, traditore, funesto – fu il Luogo dell’Amore: della riscossa, della pienezza e del futuro che irrompe dentro un presente difficile da decifrare. Che quell’assenza, oggi, appare come una più ardita presenza: che il Golgota non fu l’abbandono ma il punto massimo della vicinanza tra il Creatore e le sue creature, tra il Cielo e la Terra, tra Iddio e gli uomini. Lui parla e loro Gli danno retta: ancora, nonostante tutto, a prescindere da chiunque egli sia. Ancora non sanno che Lui è l’Iddio che stanno rimpiangendo e Lui s’allontana – fa finta d’allontanarsi, ndr – non aspettando nemmeno un grazie. L’ha fatto così: per amore, perchè era giusto, perchè quell’amarezza era pericolosa. Punto e capo.
E loro si sbugiardano. Passeranno alla storia come i grandi menzogneri d’Emmaus: la loro sarà la bugia più ardita e ardimentosa dell’intero Evangelo. Bugia che fu preghiera nella sera d’Emmaus: “Resta con noi, si fa sera e il sole tramonta. Forestiero, che tu non abbia a temere l’oscurità”. Bugiardi che non sono altro. Era tutt’altro che Gli dovevano confidare: “Resta con noi perchè ormai ci siamo affezionati. Come faremo a stare senza di te: non abbandonarci anche tu”. Chissà: forse non avevano coraggio, o forse fu per pudore, per non arrischiare di sbagliarsi ancora. Fatto sta che Lui rimase e loro capirono il perchè di quell’agitazione ch’era andata scomparendo: bastò il gesto del Pane – quella fragranza ch’era la loro storia – per riaprire la memoria, dare spazio al cuore e tornare a sorprendersi. Da Gerusalemme ad Emmaus col cuore affranto: tutto finito. Per poi ripartire, a notte fonda: da Emmaus a Gerusalemme con la trepidante certezza che tutto era vero.
Con Cristo non è mai la fine: parola di due bugiardi innamorati.

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