Nell’attesa della liturgia, l’attesa pure dello studente: quello che, nel bel mezzo del dicembre innevato, aspetta e spera l’arrivo delle pagelline. Non sono le pagelle, ma delle pagelle tengono quelle sembianze che innalzano o infossano l’esistenza di adolescenti che tentano lo scatto della vita. Si abbozzano quattro minacciosi e insufficienze da capogiro, si prospettano bocciature all’orizzonte e minacce di esami ormai prossimi a venire. S’annuncia la vendetta del futuro e l’ostica avventura dell’apprendimento. Si proclamano asini studenti relegati troppo presto ad un ruolo di comprimari nelle aule scolastiche. Eppure, tra le voci canoniche del ministero, almeno una la dovrebbero riservare a loro: quella che giudica la qualità dell’insegnamento che viaggia nelle aule della nostra italica scuola. Perchè l’alunno è responsabile di un compito mal fatto, ma l’insegnante è responsabile di una passione non accesa. Che del quattro è un presupposto assai probabile da abbinare.
La pagellina di dicembre sancisce il divario tra genio e somaro. Ma addita pure il perchè di una crisi dell’insegnamento ormai da tutti proclamata. E’ il genio di un poeta francese, Charles Peguy, ad insinuare che la crisi dell’insegnamento denunci e smascheri la crisi della vita stessa di chi, per dovere o per scelta, fa dell’educazione il suo campo di battaglia quotidiano. Le pagelline non lo potranno mai dire – perchè da secoli non si può sputare sul piatto dove si mangia – ma è chiaro che sempre più oggi il vero sapere deve partire dal cuore, da quella zona delicatissima e tremenda del ragazzo nel quale imprimere un senso e una direzione alla sua esistenza: perchè non diventi uno zingaro in balia del primo profeta di sventura pronto a cacciarsi alle sue caviglie. Se dalla cattedra gli sguardi parlano di un pessimismo cosmico, le immagini richiamano il tetro e il grigiore della non significanza, se le parole che partono sono parole vuote che non accendono e fanno esplodere le anime sedute sui banchi, quei quattro scarabocchiati sulla pagella non sono che la valutazione di un insegnamento sdoppiato: perchè alle parole non corrisponde la potenza della vita vissuta e ci si logora nel vano tentativo di testimoniare con l’insegnamento quello che la vita non può confermare. Da millenni la saggezza popolare attesta che alla semina del vento corrisponde la mietitura della tempesta.
E dietro tante pagelle simili ad un campo minato, oltre alla responsabilità di chi del dovere proprio si disinteressa, si denuncia la mancanza di passione dell’educatore, quella passione che, abbinata alla professionalità, riuscirebbe ancora ad ammorbidire cuori e anime faticosi da accendere. Ma oggi una scuola così fatta non gioverebbe al clima di mantenimento generale che tanto sta a cuore – come ricordava Pierluigi Celli in questi giorni – ai mediocri che contano: quelli per i quali l’unico scopo della vita è controllare il pensiero della gente, infiacchire l’immaginazione dei giovani (dicendo che “sono il futuro”: ma chi se ne frega del futuro se gli viene tolto il presente?) e violentare le parole con la menzogna fino a rubare loro una bellezza pericolosa e renderle vuote.
Firmate pure le pagelline ai vostri alunni, ma molte volte dietro un quattro se ne starebbe comodamente nascosta anche una pagellina per un certo stile d’insegnamento. Non meno da bocciatura della prima: la prima denuncia il fallimento dell’apprendimento, la seconda smaschera un sapere non imbevuto di credibile passione. Ma senza passione lo sguardo è trafitto.