Assistendo ad un battesimo, il sottofondo è, quasi sempre, vociare e piangere di bimbi, che scorrazzano in libertà. Spesso, generando l’imbarazzo dei genitori che, con sguardo terrorizzato, li rincorrono, nella speranza di non travalicare il limite di caos consentito in un luogo di culto, durante una celebrazione eucaristica. Sempre che ce ne sia uno!
In qualche parrocchia, queste scene sono la quotidianità, nella Messa della metà mattina di domenica. Purtroppo, non in tutte, dove la norma della reazione di fronte a bimbi molto piccoli in chiesa è più di fastidio che di gioia. Alcune comunità parrocchiali, nel tentativo di conciliare le varie “anime” che la compongono, pensano luoghi appositi, separati, dal resto dei fedeli. Personalmente, non sono molto d’accordo. Mi dà l’idea di una sorta di ghetto, dolcificato artificialmente dalla scusa che sia per il bene dei bambini (mentre, in realtà, la preoccupazione è che i bambini disturbino la funzione religiosa!). Credo, piuttosto. che i fanciulli dovrebbero esserne parte integrante, anche perché l’esperienza insegna che, salvo casi particolari, di solito, se il bambino prende la buona abitudine della Messa festiva, generalmente, comprende anche quale sia il comportamento da avere in quella circostanza
Se leggiamo il Vangelo («Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio», Mc 10, 13-16), è chiaro come si tratti di corsi e ricorsi storici e che non si tratta affatto di un problema nuovo, anche se forse, nei secoli, è la sensibilità ad essere mutata (ahimè, al riguardo, la sensazione è che, a seguito di un progresso stiamo ora avendo un regresso: ci abbiamo messo secoli per riconoscere dignità ai bambini ed ora stanno spesso scivolando di nuovo nella categoria del “fastidio”, invece che della ricchezza e della risorsa!). Se Gesù è costretto ad intervenire in modo tanto esplicito, è evidente che doveva aver di fronte adulti molto recalcitranti alla presenza dei più piccoli nei pressi del Cristo intento a predicare. Di fronte ad una presa di posizione tanto precisa, non possiamo tralasciare il modo con cui Gesù è intervenuto, nel momento in cui pensiamo a modificare lo spazio liturgico.
Non solo Cristo incoraggia a lasciare che i bambini si avvicini, ma lascia quasi intendere che siano – addirittura! – più loro i destinatari delle Sue parole che altri. Che siano più capaci loro di comprenderLo degli adulti. Alla luce di ciò, risulterebbe davvero l’opposto il tentativo di “segregare” i pargoli.
«Come immaginiamo, come presentiamo la Casa del Padre?
Il modello, sovente, è dato da certe case antiche, aristocratiche. Dentro, tutta roba di classe. Guai ad alzare la voce, a cantare. C’è la vecchia zia, bisbetica, che soffre di nervi. Guai se i figli del vicino mettono i piedi in questa casa. Potrebbero sporcare, potrebbero turbarne l’ordine rigorosamente stabilito. Vogliamo tutti bene a questa vecchia zia. La curiamo, se ha bisogno. Ma ci lasci vivere!
La Casa deve essere il capolavoro dei figli.
Dev’essere una casa di famiglia dove “c’è sempre un po’ di disordine, le sedie talvolta mancano di un piede, i tavoli sono macchiati d’inchiostro e le scatole di marmellata si vuotano da sole nella dispensa”(Bernanos).
In questa casa il centro è il cuore del Padre. noi siamo responsabili dell’atmosfera, dell’aria che vi si respira. Possiamo farne un capolavoro. O un inferno».
(A. Pronzato, Vangeli scomodi)
Forse è questa falsa idea delle cose di Dio “riservate agli addetti ai lavori” che ci ha condizionato, per anni, nel nostro sguardo sui bambini.
Ho ancora impresso nella mente il ricordo della giornata in cui il Papa incontro le famiglie a Bresso, nel giugno 2009. Lo spiazzo era gremito di ogni genere di persone. Grandi e piccini, adulti, anziani, ragazzi e bambini. Disabili e superabili, vedenti e non vedenti: per ognuno era possibile, nonostante i deficit personali percepire suoni, immagini, sensazioni, emozioni. Quel mix di sensazioni che fa bene all’anima e dilata il cuore. Bambini che razzolano nel prato, coi jeans verdi d’erba, le manine impiastricciate e la faccia furbetta. I più piccini sono in braccio alla mamma, ad approfittare di una tenerezza in più. E quando inizia la Messa, non tutti sono attenti, qualche bambino continua imperterrito a giocare con le bottiglie d’acqua vuote… io sono sicura che Gesù stesso avrebbe sorriso. Dei loro giochi, dei loro pensieri, dei loro sorrisi. Ma quando credi che non siano attenti, arriva a una voce infantile a ricordarti che capiscono più di quanto ci sarebbe comodo, commentando: “Adesso Monti piange: il Papa lo sta sgridando!”.
Forse, manifestazioni come questa incontrano la contrarietà di qualche “purista”; non credo quella del Padre che, ben conoscendo i propri figli, sa che nessuno di loro è perfetto, qualcuno è iperattivo, tanti non sanno concentrarsi a lungo e molti perdono la concentrazione quando intorno a sé vede bambini che corrono e schiamazzano. Ma la Chiesa è formata da tutti questi: quelli che corrono per le navate, così come quelli che a malapena vi arrivano, mettendo un passo avanti all’altro… la Chiesa è chiamata ad essere la grande famiglia di Dio: per questo, non può scegliere i propri membri, ma solo accogliere chiunque sia chiamato da Cristo e apprezzare il desiderio di lodarlo, ciascuno secondo le proprie capacità!
Accogliere, come un dono, nella chiesa, i figli, significa pensare la Messa a misura di bambino e non pretendere un silenzio assoluto da chi non può garantirlo. Non si tratta di stravolgere la liturgia, quanto, piuttosto, di far proprio quello sguardo di delicatezza e di attenzione (oltreché colmo di quella, inevitabile, speranza per il futuro che simboleggiano le loro giovani membra), che è proprio di Cristo, capace di cogliere la purezza del cuore, anche nell’imperfezione del risultato ottenuto!