tantagente
Sicuramente glielo avevano detto in tanti: “Zaccheo, datti una calmata! Cambia musica!”. Glielo avevano cantato i suoi amici, pochi e più interessati ai suoi soldi che al suo comportamento: “Se continui così, prima o poi qualcuno di quelli che spelli perderà la testa e te la farà pagare”. Glielo avevano cantato le sue vittime, tante ed esasperate: “Ci vuoi rovinare, ma stai attento: prima ti roviniamo noi, e poi succeda quello che deve succedere”. Lui, stavolta, s’è cacciato in testa di vedere Gesù. Si mette di buona volontà: non si lascia scoraggiare dagli ostacoli e non disarma fino ad impresa conclusa. Lui, l’insossidabile truffatore di Gerico, stavolta si è messo in testa di sfidare il ridicolo pur di “vedere chi era Gesù” (liturgia della XXXI^ doenica del tempo ordinario). Come un uomo che debba trasportare un armadio si toglie la giacca e l’appende all’attaccapanni di casa, Zaccheo si toglie la giacca della propria rispettabilità e l’appende al naso della gente. Ha deciso: siferà i berci e i lazzi ma lui oggi quell’Uomo lo vuole vedere per davvero. Viso a viso: peccato, solamente, che non ne immagini il seguito.

Quell’uomo passa e lo smaschera, lo stana come fanno i segugi con la preda, lo strappa fuori dalla folla:“scendi in fretta”. Lo snida, proprio come un uccello tra le fronde: “scendi in fretta”. Vuol conoscerlo? Macchè, vuole di più stavolta quel Viandante taciturno: “oggi devo fermarmi in casa tua”. Mai visto prima, ufficialmente: eppure stavolta è l’urgenza delle cose da farsi il prima possibile: “Zaccheo, conviene che entri subito a casa tua. Conviene a te: Dio ti sta cercando, Dio ti ha stanato. Non te lo perdere, altrimenti sei perso. Veloce, aprimi la porta: conviene che io entri in quella casa rabberciata”. Stavolta Cristo ha fretta: anche Dio ha fretta. Eppure ci hanno sempre insegnato che Dio è paziente: può attendere per degli anni, addirittura dei millenni. D’altra parte il suo calendario non coincide con il nostro; ma quando vede che la salvezza è matura, allora ha una fretta terribile, quasi imbarazzante per chi è il destinatario di quel mandato di cattura da parte del Cielo. Impossibile rimanere latitanti più di qualche battito di ciglia. E allora si scende; anzi, ci si butta dagli alberi.
I due se ne vanno, tra lo scandalo generale della folla: qualche volta Dio dovrebbe darsi una calmata, le sue provocazioni sembrano talvolta lambire il disgusto generale. D’altronde anche Zaccheo è sbalordito per quanto gli sta succedendo: è una vita che la Scrittura attesta che possiamo sapere dove abbiamo incontrato il Cristo, possiamo anche ricordarne l’ora – le “quattro del pomeriggio” di Giovanni -; ma, dopo l’incontro, non è dato sapere dove si vada a sbattere. La gente non capisce: neanche stavolta non capisce quella gentaglia dal cuore indutiro e dall’immagianzione stanca. Si scandalizza: quando non capisce, grido allo scandalo, anche nei confronti di Cristo: “tutti mormoravano tra loro e dicevano: E’ andato ad alloggiare da un peccatore”. Hanno ragione: maledetti truffatori, oltre al danno pure la beffa. Eggià: perchè se fosse venuto a casa mia, quella si che sarebbe stata la casa di una persona giusta, degna di ospitarlo. Resta il fatto strano, forse anche disgustodo: che nella casa di Zaccheo “è venuta la salvezza”. La casa del capo dell’ufficio delle dogane, un ladro probabilmente, è diventata una chiesa. E noi stiamo a mormorare là fuori. Invece di toglierci il cappello, entrare e inginocchiarci.

Tanti anni fa, in Cina, vivevano due amici. Uno era molto bravo a suonare l’arpa. L’altro era molto bravo ad ascoltarlo. Quando il primo suonava una canzone che parlava di montagna, il secondo diceva: “Vedo la montagna come se l’avessi davanti”. Quando il primo suonava a proposito di un ruscello, quello che ascoltava diceva estasiato: “Sento scorrere l’acqua tra le pietre”. Ma un giorno quello che ascoltava si ammalò e morì. Il primo amico tagliò le corde dell’arpa e non suonò mai più.

Zaccheo è indaffarato; chissà, forse anche pensieroso: la predica è solo un attimo in ritardo. Ma adesso arriverà: pazienza! Qua dentro, lontano dalla folla, qualsiasi cosa dirà sarà sopportabile. Invece il tempo passa e il Maestro non dice niente, non chiede niente. Non parla, non rimprovera, non domanda. Allora Zaccheo decide. Se non parla Lui, parla lui. Perché è giusto così: “Ecco, la metà dei miei beni, Signore, la do ai poveri, e se ho frodato qualcuno gli restituisco il quadruplo”. Un testamento che va in esecuzione subito. Stop Zaccheo, fermati: “oggi la salvezza è entrata in questa casa”. A Gerico Cristo era di fretta: c’era da rimettere in piedi un uomo che era caduto in alto. E Cristo s’è giocato la faccia: per l’ennesima volta. Non l’ultima.

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