Hai mai assaggiato, cogliendolo dalla vite, qualche acino d’uva a giugno? O un melograno ai primi di luglio, una ciliegia all’inizio d’aprile, un mandarino il giorno di ferragosto? Li hai mai assaggiati cogliendoli dalla pianta, però, non andando a comprarli dal fruttivendolo? “E’ che, a giugno, l’uva è acerba, il melograno è crudo, la ciliegia è troppo aspra, il mandarino non è ancora arancione” mi dici. Altri, invece, vantano d’averlo fatto: “Dal mio fruttivendolo – si affrettano a dire – puoi trovare di tutto-di-più, in qualsiasi stagione”. Ma se tu fossi uno di quelli ortolani che amano raccogliersi la frutta e gli ortaggi dove averli coltivati, sapresti bene che ogni frutto ha la sua stagione, il suo giorno di maturazione: se lo cogli un giorno prima è un po’ acerbo, un giorno dopo è leggermente avariato. Saperlo (rac)cogliere nel giorno giusto fa un di un provetto ortolano uno stimato agricoltore: “Si vede che questo ha esperienza: mai che qualcuno si possa lamentare della sua frutta-verdura” diciamo quando andiamo dal nostro fruttivendolo di fiducia, quello tutto casa-bottega, a km-zero. Che, dai frutti, mostra di saperci fare in materia di raccolta.
Eppure la fretta va sempre a bersaglio con qualcuno, che raccoglie prima (“Devo partire per le ferie!”) e poi si vede costretto a lasciar maturare il raccolto dentro casa, sopra la credenza, in cantina: “Non mangiare le banane: non sono ancora fatte, aspetta qualche giorno!” si raccomanda mamma quando, avendo visto le banane in offerta, ne ha comprato un bancale, pur vedendole ancora un po’ verdi. Matureranno, certo: ma non sarà mai come la maturazione sull’albero. I fiumi lo sanno bene: non c’è fretta in natura, perchè la fretta fa i gattini ciechi. Quando hai fretta d’andare – di fare una cosa, di accelerare, di superare – il bello sarebbe non andare di fretta: si accelera considerevolmente il rischio di arrivare in ritardo. Il rischio che, aspettando maturi, la frutta invece marcisca. A Natale, prima che arrivi il giorno di Natale, tanti auguri di buon natale saranno oramai marciti: sono arrivati così presto, (rac)colti così in fretta, non sono stati lasciati maturare le quattro settimane d’Avvento che, a Natale, li abbiamo già dimenticati. Auguri acerbi, immaturi, per niente saporiti: mandati di fretta, in automatico, con la tastiera ma senza il cuore. Sono auguri che innervosiscono e basta, non toccano il cuore, lasciano il tempo che trovano. Perchè un buon Natale che ti arriva settimane in anticipo ti lascia il sospetto che sia un augurio in automatico, programmato nella memoria del computer o in quella della segretaria: del dentista di fiducia (o dove sei andato soltanto una volta lasciandogli, però, l’indirizzo), del carrozziere, del contabile, dello studio d’avvocatura, di un qualsiasi commerciante del quale hai varcato la soglia dell’ufficio. Sono auguri di marketing, di cortesia, promozione di qualche prodotto in saldo apposta per te, soltanto per te (fatalità!). Auguri che, sovente, dall’email vanno a finire dritti nel cestino, senza venire nemmeno letti o stampati.
È tutto di fretta, di corsa, urgente: la necessità di compiere qualcosa in un tempo minore di quanto, in realtà, ne servirebbe. Finendo per danneggiare una sorpresa anticipandone il giorno, svilendo l’attesa. E’ come accorgersi di un pacchetto-regalo messo sotto l’albero e non essere capaci d’aspettare la notte di Natale per aprirlo, privandosi del gusto dell’immaginazione, l’acquolina del conto alla rovescia, la magia dell’attimo giusto quando, tutt’intorno, le cose si posizionano in ordine giusto per festeggiare. M’innervosiscono gli auguri anzitempo: li detesto, mi rovinano l’attesa. Tanto quanto gli auguri senza la firma autografa, mandati in serie, così tanto per fare. Sono auguri acerbi che non mi dicono nulla, se non che chi me li ha mandati non sarebbe un ottimo contadino: venderebbe soltanto frutti acerbi perchè ha fretta di raccogliere, irrispettoso dei tempi della natura, sempre di fretta. “Solito esagerato che sei! – mi dirà qualcuno – Ringrazia che te li hanno mandati, invece!” Figurati, nessun grazie! Questi non sono affatto auguri: sono meccanismi automatici, compiti-per-casa. Non ho mai sopportato chi arriva a Natale scansando l’Avvento, chi si piomba dritto a Pasqua saltando a piè pari la coda del Venerdì Santo: sono auguri senza spina dorsale. Lasciano il tempo che (non) trovano.