«Sii te stesso, sempre». «L’autenticità è importante». «Non lasciarti sviare dalle cattive compagnie».
Sembrano un po’ queste le raccomandazioni che il Signore rivolge a Mosè, prima che arrivi nella terra promessa.
Come un padre al figlio, prima di un evento importante, che si sofferma con lui nelle ultime raccomandazioni (“non farmi fare figure, sai, ché poi facciamo i conti!”).
Si è scelto un popolo, senz’alcun merito (perché non potesse vantarsene), lo ha trattato come un figlio, lo ha amato nonostante i tradimenti, se lo è coccolato e portato al petto. Ora è il momento del distacco. Ora, bisogna cominciare a camminare da sola, senz’appoggi, senza sostegni a cui appigliarsi, bisogna imparare ad affrontare difficoltà ed ostacoli.
Perché è facile credere quando tutti credono. È facile essere forti, quando tutti sono forti. Amalgamarsi e uniformarsi richiede sempre uno sforzo inferiore alla fatica di ricavare una strada nella jungla, escogitare soluzioni nuove per situazioni inusitate, farsi pionieri di un tempo che si apre dinnanzi ai nostri occhi, senza però dimenticare quelle radici, che ci consentono di rimanere saldi, anche di fronte alle tempeste che la vita, prima o poi, ci chiama ad affrontare.
C’è una sorta di purificazione, attraverso cui è necessario – in un certo qual modo – passare. Se il nostro modo d’essere non è messo alla prova, il rischio è non conoscersi mai davvero, supporsi diversi da come siamo realmente. Perché è nelle avversità che si forgia il carattere, esplorando parti di noi che, in una situazione tranquilla, non riusciamo a testare con realismo.
Nel deserto, il deserto stesso costituiva la difficoltà. La possibilità di non credere era data dalle avversità legate al cammino. Ma la compagnia era tutta “dei nostri”. Lo stesso cammino condiviso tende, in un certo qual modo, a cementare riti e tradizioni, uniformando anche le credenze.
eppure, non sono mancate le tentazioni e gli allontanamenti da quella che è la traccia di Dio (basti pensare al vitello d’oro).
Tuttavia, Dio non lascia solo il proprio popolo, in un’avventura che si rivela differente dalle precedenti: la promessa è che ci saranno dei profeti, attraverso i quali sarà Dio stesso a parlare. Al contempo, però, mette in guardia dalla possibilità che si trovino impostori, che millantano di aver udito la voce di Dio, ma cercano solo di dare maggiore visibilità a se stessi. Come spesso accade, è la realtà stessa a smascherare le parole lusinghiere dei pifferai di ieri, di oggi e di domani.
La proposta è, infatti, tutto sommato, semplice: «Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione».
Da una parte, questo brano è rassicurante, perché mostra come non tutto ciò che si propone in una veste (come i profeti), rispecchi poi le aspettative iniziali. Il dubbio e il sospetto sono leciti. Non basta (auto)proclamarsi autorità autorevoli, perché ciò sia reale. La prova del nove è la realtà stessa. È la realtà a definire tutti i casi in cui il re, pur tronfio e vanaglorioso, è nudo. E, più che lo studio, è la disponibilità ad accogliere la verità che consente agli occhi di scorgerla, senza lasciarsi influenzarci da quello che altri dicono, quand’anche fossero più influenti e più autorevoli.
Dall’altra, tuttavia, esso è anche un invito alla responsabilità ed alla custodia delle parole. Di ogni parola che esce dalle nostre bocche. Quanto bisogno di purificazione e di astinenza, in quell’ambito! Quante parole inutili, fuorvianti, crasse, pretenziose, arroganti, quanti giudizi temerari!
Forse, fraintendiamo molto il silenzio, così come svalutiamo la preghiera.
C’è un silenzio che non è indifferenza, ma rappresenta il fondale necessario per meditare, alla luce della Parola di Dio, gli eventi che accadono nella nostra vita. È un silenzio che vuole recarsi alla scuola di Maria che “serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.
C’è una preghiera che è l’attesa di Dio di essere chiamato in causa. Ci sono miracoli che può solo la preghiera che richiama Dio verso i suoi figli in sofferenza. L’uomo non può vedere la propria libertà, finanche quella malintesa di compiere il male calpestata. Dio, però, può ammorbidire il cuore dell’uomo, con la sua grazia e volgerlo al bene.
Ecco perché nessuna preghiera è inutile o “sprecata”. Persino – o, anzi: soprattutto – quando una situazione non è – non può essere – nelle nostre mani.
Anzitutto, perché il primo cuore che ha bisogno di essere ammorbidito è il mio, che, proprio nella preghiera, può lasciarsi modellare dal Padre.
Rif. I lettura festiva ambrosiana, nella III Domenica di Quaresima, anno C
Dt 6, 4a; 18, 9-22
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, né chi faccia incantesimi, né chi consulti i negromanti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore. A causa di questi abomini, il Signore, tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni davanti a te. Tu sarai irreprensibile verso il Signore, tuo Dio, perché le nazioni, di cui tu vai ad occupare il paese, ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non così ti ha permesso il Signore, tuo Dio. Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”. Forse potresti dire nel tuo cuore: “Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?”. Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui».
Fonte immagine: Wired, fotogramma da “Pinocchio” di Matteo Garrone