La terza domenica di Quaresima ci immette nel Vangelo di Giovanni, in uno tra i brani più impegnativi e suggestivi, che ha quale argomento principe la verità. Non solo. Invita a discernere le informazioni, mette in guardia dalle fake news e ricorda che non basta millantare un rapporto privilegiato con Dio, per averlo in atto, sulla scia di Deuteronomio 18 (Prima Lettura). A motivo dell’argomento della discussione con i Giudei, la terza domenica di Quaresima è solitamente ricordata come la domenica di Abramo.
Non dimenticare chi sei
Il brano liturgico, estratto da Deuteronomio 18, ricorda al popolo d’Israele chi sia. È il popolo eletto, che Dio si è scelto come partner, nell’alleanza veterotestamentaria. È un privilegio, ma anche una responsabilità: non ci si può illudere di essere uguali agli altri. Grandi onori prevedono anche grandi responsabilità, oltre che opportunità maggiori – Israele sta per entrare in una terra, a lui destinata da Dio, ma non è completamente estranea al resto del mondo, anzi. Tutt’intorno, si trovano altri popoli, caratterizzati da altre divinità e altre usanze. Non chiede di far loro guerra o di sterminarli. Domanda di mantenere la fedeltà a lui.
Dio, l’unico
Non prendere parte a divinazione. Né offrire sacrifici umani in onore della divinità. Neppure essere superstizioso. In una parola, con le Parole di Dio: “Non avrai Dio all’infuori di me”. La gelosia divina rispetto all’unicità di Dio è particolarmente evidente, nell’antico Testamento, manifestandosi come la volontà di un dio che si mostra ad un popolo unico, scelto tra tanti, non perché migliore, ma perché reso diverso dall’elezione – insondabile ed insindacabile – di Dio che, gratuitamente e senza merito, ha stretto un patto con loro.
Presunzione profetica
Molti sono i profeti, che hanno detto di aver ricevuto mandato di predicazione o, anche solo, ricevuto una Parola da Dio. Eppure, non è tutto oro ciò che luccica. Tanti si propongono come veicolo della Parola di Dio, non tutti però possono dimostrarlo. Come sempre, i fatti parlano. E non tutti passano la prova dei fatti. Per questo, è fondamentale esercitarsi nella sottile arte del discernimento, per imparare a distinguere chi è tramite verso Dio da chi, invece, accentra su di sé l’attenzione unicamente per narcisismo.
Cristo al centro
Anche a Milano, ormai si sono diffusi predicatori evangelici, che non mancano di sottolineare come sia solo Cristo l’unico Salvatore, non padre Pio o altri. Talvolta, la negligenza è altrui, talaltra, però, in effetti, c’è un comportamento ambiguo… i cattolici venerano santi, è vero, ma come si stimano i “fratelli maggiori”. Con l’accorgimento aggiuntivo e non facoltativo di ricordare che siamo chiamati ad imitarli in quanti santi, cioè persone realizzate, perché hanno compiuto la volontà di Dio; ciascuno di noi, sull’esempio dei santi, è chiamato a compiere la volontà di Dio su di sé, discernendo come sia richiesto a lui, non imitando il modo in cui è stato richiesto a qualcun altro. Rimane vero, infine, che solo Dio è da adorare e solo Gesù Cristo il mediatore di salvezza, che ci comunica alla grazia divina.
Gesù, figlio di Abramo
Quel Gesù che è il Salvatore del mondo è pur sempre figlio d’Israele, figlio di Abramo, discendente di Davide. S’inserisce anche lui, tramite l’incarnazione, in una storia che lo precede, in una cultura che lo abbraccia e che ne delinea un’identità, unica al mondo. Al contempo, però, non è un figlio apatico, che pedissequamente accetta qualunque cosa venga dalla famiglia d’origine. O meglio, dalla famiglia umana in cui è inserito. Rimanendo Figlio di Dio, la sua identità oltrepassa l’appartenenza religiosa, culturale o nazionale. Rimane innestato in quell’Amore che è, mettendo in discussione idee, convinzioni e convenzioni che si rivelano “umane, troppo umane” agli occhi di Dio.
Una discussione accesa
Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 8, ci permette di immergerci in una discussione infiammata con alcuni giudei. Non giudei qualcosa, ma già persone “selezionate”, dal momento che il brano evidenzia senza giri di parole che si trattava di persone che gli avevano creduto: persone con cui si era quindi, pur se iniziale, stabilita ormai una relazione, con cui si respirava fiducia. Non perfetti sconosciuti, ma: persone note, che – almeno in teoria – andrebbero pensate disponibili all’ascolto.
Gesù, figlio di Dio
Nell’infiammarsi del diverbio, il rabbi di Nazaret lascia che emerga la sua vera natura: quella di Divin Figlio. Che conosce la libertà e la coerenza. E sa che la vera spiritualità oltrepassa i vincoli della religione unicamente formale. «Pieno compimento della legge è l’amore»[1]. Questa è la verità che rende liberi davvero, la verità di chi, sapendosi figlio, non si preoccupa più degli avere, perché sa che ogni cosa a sua disposizione, anche quando non è sua. La ricerca di un legame di sangue, a giustificare l’affetto, rischia di non rivelarsi altro che l’immaturo tentativo di chi ricerca garanzie che supportino la fragilità delle sue intenzioni.
«Prima che Abramo fosse, Io Sono»
Parole come coltelli. Parole che affondano nella carne, quelle del Verbo. Che instillano il desiderio in tutti i cercatori di Verità, di quelli che, sulla scia della liturgia, coltivano ancora “il desiderio di cercarla, dopo averla trovata. Un invito a comportarsi, come ciò che si vorrebbe essere, già prima di esserlo. Perché il desiderio è capace non solo di precedere, ma anche di favorire, la realizzazione di quanto, nella mente, siamo certi di poter, prima o poi, raggiungere.
Più di tutte, quell’«Io Sono», richiamo esodiaco[2], ripreso nei Vangeli della Passione[3], è capace di imprimere turbamento e sgomento, nell’uditorio, tanto da spingerli alla reazione violenta, garanzia, che si era arrivati all’apice del sopportabile, per il consesso che attorniava Cristo.
“Gesù si nascose e uscì dal tempio”
Gesù, Figlio del Padre, affidato alla volontà paterna, non anticipa né posticipa i tempi. Sa che «c’è un tempo per ogni cosa»[4]. Così, vediamo concludere quest’episodio con una chiosa che, forse, passa in sordina, oppure, al contrario, ci risulta – persino – “stonata”.
Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio (Gv 3, 59)
Non vediamo il volto che si fa “duro come la pietra”[5], richiamo veterotestamentario ripreso da Luca nel momento della decisione di dirigersi verso Gerusalemme. Vediamo una fuga, che, però, non copre d’ignominia. È un diversivo, di chi sa attendere. È la strategia di chi vuole attendere il momento più opportuno per confezionare il regalo più atteso.
Perché, se in quest’occasione il Maestro mette in campo un diversivo e una strategia d’attesa, qualche tempo dopo, non sottrarrà la faccia agli insulti e agli sputi e si rivelerà pronto a bere l’amaro calice[6] di chi ama fino alla fine [7].
[1] Rm 13, 10
[2] Il famoso-famigerato Es 3,14
[3] Gv 18, 5
[4] Qohèlet
[5] Cfr. Is 50, 7 / Lc 9, 51
[6] Cfr. Mt 20, 20-28
[7] Cfr. Gv 13, 1
Rif. letture festive ambrosiane, nella Terza Domenica di Quaresima (Deut 6, 4a – 18, 9-22; Rm 3, 21-26; Gv 8, 31-59), anno C
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2 risposte
Buongiorno don Marco…grazie sempre per le tue riflessioni, anche se a volte, faccio fatica a capire!
Mi sono chiesta tant’è volte “ma perché Dio sì è scelto quel popolo che è stato ed è sempre in guerra?”
Come dici tu non chiede di far loro guerra e di sterminarli. Domanda di mantenere la fedeltà a lui….
Ma… di sicuro ci sarà un motivo!!!! Dio non fa le cose a vanvera!!!!!