«Uffa, non ho voglia di alzarmi presto anche la domenica mattina, per andare a Messa…».
«Uffa, anche stavolta, leggerò la lettura e tutti ronferanno beatamente, specie quelli che pensano non li veda nessuno ma, dall’altare, invece, ne hai una prima visione sconfortante!»
«Uffa, dovrò fare catechesi a degli adolescenti del tutto disinteressati a quello che sto dicendo, che non appena mi girerò, saranno su Instagram o Snapchat…»
Quanti «uffa» che inanelliamo, in parte inevitabilmente, anche nel nostro convinto impegno in parrocchia.
Nonostante, “presto”, magari, significhi le dieci del mattino, la “visione sconfortante” sia quella di una guardia notturna o di un’infermiera che viene a Messa, magari con fatica, quando l’orario di lavoro glielo permette e quei teenagers svogliati cerchino nei social quell’attenzione che non riescono a ricevere dai compagni o in una famiglia troppo presa da altre cose.
Eppure, tutte le nostre insofferenze, umanamente giustificate o meno, impallidiscono, di fronte alla domanda radicale che, inevitabilmente, ci interroga nel profondo.
Che significa essere cristiani? In questi giorni, nessun’altra risposta è possibile, se non quella di risultare automaticamente in lista d’attesa per il martirio.
Sono infatti gravi e drammatiche le notizie che ci giungono da Egitto e Pakistan.
Dall’Asia, la vicenda che arriva alle nostre orecchie scuote il torpore del nostro “cristianesimo da divano” è quella di Asia Bibi. Per chi non lo ricordasse, la sua storia parte parecchi anni fa, precisamente, il 14 giugno 2009: scoppia un diverbio con altre lavoratrici agricole, di fede musulmane che, qualche giorno dopo la denunciano per blasfemia, sostenendo che, durante tale discussione, ella abbia offeso Maometto. Asia Bibi ha negato tale fatto, sostenendo di essere perseguitata unicamente per la propria fede religiosa e, del resto, nel 2012, alcune fonti sostengono che il suo accusatore si sarebbe pentito di aver sporto denuncia, sulla base di dichiarazioni basate su pregiudizi.
Uno degli avvocati ha avuto modo, in precedenza, di segnalare irregolarità nel processo. A seguito della sentenza di assoluzione, avvenuto proprio nella solennità di Ognissanti, il 31 ottobre 2018, Saif-Ul-Muluk, avvocato della donna, ha modo di dichiarare: “Ho bisogno di restare in vita per proseguire la battaglia giudiziaria per Asia Bibi”. Per tale motivo, ai primi di novembre, espatria;
Nel frattempo, i fondamentalisti hanno già iniziato le proteste: vogliono la testa della donna e il governo, dopo aver inizialmente difeso la sentenza, ha di fatto ceduto alle pressioni, firmando un accordo con gli estremisti, in cui si impegna in cinque modi: il nome di Asia Bibi viene inserito nella Exit Control List (Ecl), che le impedirà di allontanarsi dal Paese; il governo non si opporrà alla richiesta di revisione della sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte suprema; l’esecutivo dovrà risarcire le vittime delle proteste; inoltre rilascerà i manifestanti arrestati nei giorni scorsi; da parte loro, gli estremisti del Tlp si scusano se le manifestazioni hanno “offeso i sentimenti delle persone” (AsiaNews). Di tutto ciò, il provvedimento più pericoloso, per Asia, è proprio il primo: nella consapevolezza che è nel mirino dei fondamentalisti, impedirle l’espatrio, è – forse – anche peggio di una condanna.
Inutile celare il rammarico perché anche l’Italia ha perso un’occasione. «Non metterò più piede in Italia, a Roma mi sono sentito accolto come un terrorista, è stato avvilente per uno che ha messo a repentaglio la sua vita per combattere contro i fondamentalisti. E fa ancora più male che mi abbiano trattato così nel Paese del Papa, dopo che sono stato costretto a lasciare la mia casa in Pakistan per difendere una donna cattolica» ha sbottato Saif-Ul-Muluk, avvocato musulmano che ha difeso Asia perché vittima di “un’accusa falsa”.
Questa dunque, ad oggi, la situazione: un paese in subbuglio (in molte comunità cristiane del Pakistan non è stata possibile la Commemorazione dei Defunti del 2 novembre, per motivi di sicurezza), un’intera famiglia ed i suoi avvocati in pericolo di vita ed un mondo occidentale platealmente muto ed inerte, di fronte al perpetrarsi dell’ingiustizia su innocenti.
Più vicino a noi, in Egitto, un gruppo di fedeli copti è stato di nuovo bersaglio della violenza islamica. La loro unica colpa? Essere su un pullman, pellegrini diretti al monastero di san Samuele. Quel luogo, particolarmente sentito dalla spiritualità copta, è abituale destinazione di pellegrinaggi. intitolato ad un monaco del VI secolo e “confessore della fede”, sta diventando il simbolo della resistenza, fino al martirio, di questa minoranza religiosa, che abita il medio Oriente da tempi antichissimi. Si pensi infatti che l’Egitto è stato una delle prime meta di evangelizzazione dei primi cristiani, non appena questi varcarono le soglie del popolo d’Israele: l’aggettivo “copto” significa, semplicemente “egiziano” e, ancora oggi, identifica i cristiani ortodossi di lingua e liturgia araba.
Del resto, non è la prima volta che quella meta (il monastero di san Samuele) è lo scenario di una carneficina di fedeli copti: nel maggio 2017, alla vigilia dell’inizio del mese sacro (per i musulmani) del Ramadan, un autobus carico di pellegrini copti lì diretti è diventato il bersaglio della violenza più cieca e folle, diretta contro uomini e donne disarmati, tra cui diverse famiglie con bambini. È forse proprio questo il dettaglio più atroce: in questo caso (come l’anno scorso in cui fu vittima, addirittura, un bambino di soli due anni), neppure i fanciulli sono risparmiati dalla follia omicida dell’Isis. Come i Santi Innocenti Martiri, rappresentano lo scandalo della fede in Cristo con la loro semplice presenza, persino in assenza di qualsivoglia apologia del proprio credo. Il solo perpetuare la fede nel proprio sangue diventa insopportabile, agli occhi di chi non tollera la presenza dei seguaci del Nazareno in territorio egiziano (nonostante, per l’appunto, i cristiani abbiano abitato questi territori secoli prima che Maometto diffondesse le proprie idee, riunificando le tribù di predoni e beduini in un’unica lingua e cultura).
Faccio mia una riflessione carpita su Facebook (come tutti i media, cioè gli strumenti, se ben utilizzato, può essere motivo di arricchimento):
«Asia Bibi è un esempio per quei cristiani come me che vanno a messa ma si fidano poco di Cristo; che ci sembra meraviglioso quello che dice Cristo ma quando le cose si mettono male pensiamo alla salute, ai soldi, alla sicurezza, al conforto degli amici perché Cristo è fantastico ma viene dopo. Asia Bibi era sola secondo quanto noi possiamo/vogliamo capire. Ma la verità è che Asia aveva, ed ha, accanto a sé la persona migliore, la più efficace, più potente, più giusta e consolatrice che si possa mai desiderare. Lei ha capito tutto della vita. Noi siamo il nazista che ha ucciso padre Kolbe, quelli che non hanno capito niente della vita» (Alejandro Abasolo)
Sì, sono parole molto forti. È il Vangelo stesso che esige fortezza. Del resto, a fronte di parole dure, il Cristo non cercò il compromesso, bensì, senza giri di parole, domandò, a bruciapelo: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). È in quest’occasione che scaturisce la bellissima “confessione” di Simon Pietro, di professione pescatore (prima di pesci, poi, per divina elezione, d’uomini): «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!» (Gv 6,68).
Ogni tanto, dovremmo provare a percepire cosa significhi la radicalità della scelta evangelica per Cristo, nonostante sia difficile quando la realtà non ci mette alle strette, come invece capita a tanti altri nostri fratelli, sparsi per il mondo. Pensiamo al martirio, forse, qualche volta: ma è un’ipotesi remota, che ai nostri occhi appare improbabile, quasi anacronistica.
I dati dicono altro: i cristiani, nel mondo, sono i più perseguitati. Che la testimonianza della fortezza dei nuovi martiri per Cristo possa donarci la grazia di smuovere le nostre coscienze intorpidite, affinché possiamo scegliere di aderire, senza riserve, a Cristo.
Fonte immagine:
Il Mattino
Fonti supplementari
Attentato ai copti:
Il Messaggero
La Nuova Bussola Quotidiana
Asia Bibi:
La nuova Bussola Quotidiana
Corriere della Sera, intervista a Saif-Ul-Muluk