Ascensione e prospettiva

Un piccolo appunto

Recentemente, da quando l’Ascensione non è più festività (anche) civile, il rito romano ha spostato ufficialmente tale solennità in concomitanza con la Settimana Domenica di Pasqua, chiudendo così il tempo liturgico pasquale. Il rito ambrosiano ha, invece, mantenuto ufficialmente tale solennità al giovedì, lasciando tuttavia facoltà, per motivi pastorali (per favorire, cioè, la partecipazione dei fedeli laici, che, nei giorni feriali, lavorano), di spostare tale celebrazione alla domenica seguente.

Teologia e liturgia a duello?

La lettura dagli Atti (il primo capitolo, come nel rito romano, ma iniziando dal versetto 6), affiancata dalla lettura del vangelo di Luca amplifica la discordanza narrativa, perché, se prestiamo attenzione, nel primo caso l’Ascensione risulta distare quaranta giorni dalla Pasqua, mentre nella narrazione evangelica pare si tratti di un unico giorno. Tale differenza risulta ancora più stridente, considerando che la tradizione attribuisce sia il terzo vangelo che gli Atti ad un unico autore, così che, più che domandarsi chi dica il vero, la domanda diventa dove risieda la verità? O, meglio: perché raccontare uno stesso episodio in due modalità che prevedano una tale distanza temporale?

Vangelo quadriforme e Ascensione di(f)forme

Come per il Vangelo, è possibile darne una prospettiva quadriforme,[1], perché la salita al cielo di Cristo non potrebbe averne “almeno” due? Da un lato, per la cultura ebraica, sappiamo quanto la numerologia in generale e il numero quaranta in particolare siano di rilievo. Dall’altro, essa è strettamente legata al mistero pasquale, motivo per il quale, l’evangelista avrebbe potuto cercare questa evidenziatura teologica nel Vangelo. Un dettaglio che ci ricorda – se possibile, una volta di più – come, non sempre, sia necessario scegliere. Non è una posizione di comodo, bensì di realismo. Possiamo forse dire che sia più vera la faccia frontale di quella laterale o posteriore di un cubo? Le varie parti sussistono contemporaneamente, ma possiamo descriverle, per analogia, solo una alla volta, perché così consente la mente umana.

Ascensione e nubi

La narrazione che Luca ci offre, negli Atti, è molto asciutta. Come avviene? “Mentre lo guardavano”, una nube lo sottrae al loro sguardo, memoria di tanti passi veterotestamentari[2]  e neotestamentari[3], che ci richiama ad una fede che non può appoggiarsi all’esperienza altrui, ma ne richiede una personale, proprio perché il mistero di Dio permane e si cela, non dispiegandosi mai interamente allo sguardo, proprio per non svilire la proprio profondità. Anche se l’altro diventa interlocutore e prezioso compagno di viaggio, è necessario che sia io ad interrogarmi e mettermi in discussione in modo singolo e personale. Solo così, la comunità si rivela come supporto e motivo di crescita: al contrario, diventa un alibi dietro la quale nascondermi, per non riconoscere i miei limiti.

Il tempo e i tempi di Dio

Prima del resoconto dell’evento liturgico, Luca ci illustra uno degli interrogativi degli uomini e delle donne di ogni tempo, cioè quello sul tempo ed i tempi di Dio («Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?»[4]): la risposta di Cristo pare essere sbrigativa (««Non spetta a voi conoscere tempi o momenti »[5]), ma suggerisce, piuttosto la con-fidenza nella Provvidenza di un Dio che si prende di ogni sua creatura, ma, in particolare, di ciascun uomo e donna. Lasciare Cristo che ascende è faticoso. Lo sguardo rimane in alto, c’è bisogno di una “scrollatina” esterna[6], per poter tornare alle proprie abitudini.

Il ruolo del quotidiano

Il ritorno esige un percorso un cammino. Un tempo ed uno spazio: “ritornano a Gerusalemme, dal monte detto degli Ulivi”[7]). Da lì, l’ultimo luogo in cui lasciamo i discepoli è quella stanza “al piano superiore”, che dovrebbe suonarci familiare[8].  C’è, rispetto a questa, un’annotazione: “dove erano soliti riunirsi”. Tendiamo ad assegnare un’accezione negativa, con sfumature di noia quando non di fastidio, all’abitudine, al ripetersi. Eppure, in quella quotidianità troviamo il nascondimento (e la formazione!) del falegname di Nazaret, così come il lento dispiegarsi di ogni bambino che si fa uomo, tra i banchi di scuola, la propria casa ed i luoghi limitrofi. A volte, la grande tentazione che ci colpisce è proprio quella di fuggire il quotidiano, cercando un oltre che è solo immaginato, ma non reale, come scrive M. Buber: «Dio abita dove lo si lascia entrare…Ma lo si può lasciar entrare solo là dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e dove si vive una vita autentica[9]».

Ascensione, Chiesa e Spirito Santo

«[Cristo]ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4, 11-13)

Anche l’Ascensione, insieme con la Pentecoste, è un evento che chiede di essere illuminato dallo Spirito Santo, perché la Chiesa è una grandezza che non può essere descritta unicamente secondo dimensioni umanamente comprensibili. Paolo parla di una progressione, nel corpo di Cristo, affinché raggiunga la pienezza (πληρωμα, pleroma). Di primo impatto, sembra quasi un’eresia, che diminuisce la divinità di Cristo. Se il corpo è quello di Cristo, è divino. Se è Dio come il Padre, ad entrambi è opportuno sia attribuita la perfezione, dunque come attestare un “miglioramento” in vista di un compimento (di là da venire). Cristo è il Capo della Chiesa, con cui forma un unico Corpo. Ecco allora, che, come in un abbraccio, ogni membro può attingere in Dio la grazia, cosicché si possa compiere, a livello complessivo, l’edificazione del Corpo di Cristo, che è la Chiesa, a lui unita.

Il ruolo di Emmaus, nella fede postpasquale

Il Vangelo della VII domenica di Pasqua (Lc 24, 13-35) si sofferma sull’episodio dei due discepoli di Emmaus, fondamentale nell’economia della fede postpasquale. La Passione di Cristo rappresenta, inevitabilmente, una sorta di caesura, sia in senso storico che istituzionale. Prima, era seguire uno dei tanti rabbi di Galilea; poi, bisogna prendere posizione rispetto alla sua – supposta – Resurrezione.

In cammino, tra buio e luce

Richiede di essere disponibili a percorrere un pezzo di strada, con qualcuno. Che non sempre ti è congeniale. Che, però, potrebbe aiutarti ad aprire gli occhi su Cristo che spezza il pane. Cristo, incarnandosi, si è fatto evento. Ciò non ha – tuttavia – dissipato del tutto la nube che cela il mistero: c’è abbastanza luce per poter credere, ma abbastanza buio per avere la libertà di cercare altrove un luogo per spegnere la nostra sete di eternità.   


Rif. letture festive ambrosiane, nella VII domenica di Pasqua (Ascensione), anno A E letture nella
solennità dell’Ascensione
Per un altro commento, sullo stesso argomento: Occhi al cielo. E piedi a terra
Fonte immagine: Mrwphoto


[1] Quattro le regioni del mondo, quattro venti, quattro colonne, così da ottenere un vangelo quadriforme, ma sostenuto da un unico Spirito, vd. Ireneo, Ad. Haer., III,11,8
[2] La nube accompagna la carovana israelitica nell’Esodo (Es 40, 34-38), segnala la presenza divina, di fronte alla tenda del convegno (Es 33, 9-10) e, successivamente, “riempie” il tempio (1Re 8, 10-12; Is 6, 4-5).
[3] Su tutti, la Trasfigurazione (Lc 9, 5), ma anche parusia futura di Cristo (Lc 21, 27); il concetto di presenza come qualcosa che “riempie” è, del resto, ripreso anche da San Paolo  (Ef 4, 10), in riferimento appunto all’Ascensione, per sottolineare la continuità tra Antica e Nuova Alleanza e divinità di Cristo, motivo per cui può essergli attribuita la medesima espressione del Dio d’Israele.
[4] At 1, 6
[5] At 1, 7
[6] At 1, 11
[7] At 1,12
[8] Dove Gesù chiede di preparare per la Pasqua (Lc 22, 8-15)
[9] M. BUBER, Il cammino dell’uomo, p. 64 (Qiqajon, 1990)

2 risposte

  1. L’Ascensione al cielo in un primo momento ci fa sentire quasi orfani, disorientati ma riflettendo, comprendiamo quanto amore ci viene dato dallo Spirito Santo che non ci abbandona mai!

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